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Perché è una notizia "normale" che nell'operazione Scali di Milano ci siano i privati

Maurizio Crippa

La verità è che ognuno tesse la tela che ha, e il pubblico ne ha davvero pochina, se non concordare al meglio (per la città) gli interventi. Ma in una metropoli immobile e vuota, che i mattoni si muovano è una buona notizia, o almeno non una cattiva notizia

Lo scorso 12 novembre Beppe Sala era apparso sui social con uno dei suoi ormai proverbiali video, la faccia un po’ tirata ma per una volta sorridente, e aveva annunciato “una buona notizia, e ce n’è bisogno”. La buona notizia, “molto positiva per i milanesi”, era che il giorno precedente Fs Sistemi urbani, società delle Ferrovie dello stato, aveva ufficializzato la vendita dello scalo di Porta Romana a un consorzio di tre società: Coima, il gruppo italo-francese Covivio (Del Vecchio) e Prada holding spa: operazione da 180 milioni di euro per 190 mila mq totali. Dei sette scali ferroviari in via di rigenerazione urbana, Porta Romana è il secondo per grandezza, dopo scalo Farini, e ovviamente assai appetibile per i gruppi immobiliari. Nell’accordo per la cessione, dopo gara pubblica, ci sono alcuni importanti aspetti che Sala ha spiegato ai milanesi: sull’area verrà realizzato il Villaggio olimpico per i Giochi invernali del 2026, che poi verrà trasformato in residenze studentesche; circa la metà dell’area diventerà verde a uso pubblico, realizzato dai soggetti sviluppatori; infine una quota delle nuove costruzioni sarà destinata a housing sociale, in affitto calmierato

 

Se non è una buona notizia, non è nemmeno una notizia cattiva, come alcuni settori delle opposizioni e alcuni commentatori appassionati al genere “le mani sulla città” continuano a giudicare l’intera operazione Scali. L’area – adiacente ai già “rigenerati” spazi di Fondazione Prada, della nuova sede di Fastweb e dell’erigenda “torre” di A2A – è enorme ed è un raccordo strategico per il futuro urbanistico della metropoli, vista sud. Che fosse il Comune a farsi carico dell’impresa, rilevando l’area da Fs per poi procedere a bandi gare masterplan ed eventuali edificazioni, era impossibile dal punto di vista finanziario (anche prima che Palazzo Marino si trovasse con un buco da 600 milioni causa Covid) ed era stato già messo nero su bianco nel 2017. C’è comunque chi parla della “più grande svendita di un bene comune della città agli immobiliaristi”, dimenticando due particolari: che l’area era proprietà di Fs sistemi urbani, bene pubblico ma non “della città”, e che il prezzo di vendita (che non sapremmo giudicare in valori assoluti) è di circa mille euro al mq. Per fare un confronto, l’ex scalo di Greco-Breda, il penultimo per grandezza, 62 mila mq, è stato venduto per circa 4,8 milioni di euro, cifra in proporzione decisamente inferiore, perché molto meno pregiato e appetibile. E la società che lo ha acquistato, Redo Srg spa, si concentra sull’housing sociale e ha tra i suoi investitori istituzionali soggetti come Cdp, Fondazione Cariplo e alcune grandi banche.

 

 

I grandi sviluppatori immobiliari puntano solo ad aree di alta remunerazione. E’ un male? Di certo è una realtà con cui il governo pubblico, Comune o Regione che sia, deve fare i conti. Le difficoltà incontrate in questi anni per trovare investitori per aree periferiche o degradate come San Siro (quartiere, non lo stadio) o Rogoredo (su cui si è comunque riusciti a mettere in costruzione il palazzetto olimpico: e anche qui in base a un accordo tra Risanamento gli australiani di LendLease, che stanno costruendo ad Arexpo, e la Ovg Europe Limited) sono evidenti. E’ noto che da decenni la filosofia di Milano per le rigenerazioni urbane è una sorta di patto con gli investitori privati che lascia loro mano (abbastanza) libera nei progetti in cambio di benefici funzionali e urbanistici alla città. I critici, che non mancano e spesso qualificati, di questa impostazione imputano alle istituzioni di aver abdicato a un diritto/dovere di pianificazione, lasciandoli nelle mani di investitori “di visione” come Manfredi Catella, ad di Coima, regista e kingmaker pressoché unico dei maggiori interventi nelle aree di pregio della città. Una smentita, o una riprova, di questo giudizio si avrà con la messa a punto del masterplan per lo scalo Farini: il concorso è stato bandito in ottobre da Fs e, appunto, da Coima che possiede una parte dell’area su via Valtellina. La verità è che ognuno tesse la tela che ha, e il pubblico ne ha davvero pochina, se non concordare al meglio (per la città) gli interventi. Ma in una città immobile e vuota, che i mattoni si muovano è una buona notizia, o almeno non una cattiva notizia.

  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"