Cappato e distratti

Maurizio Crippa

L’aria impalpabile di Milano (e d’Italia) al processo sul caso Dj Fabo. Che meriterebbe di più

Che fuori dal Tribunale ci fosse anche un flash mob della Chiesa Pastafariana italiana, accanto al sit-in in sostegno di Marco Cappato, non è forse il migliore dei viatici. Ma del resto la goliardia è uno strumento di lotta e comunicazione che non è mai spiaciuto, alla tradizione pannelliana e radicale. Ad ogni buon conto, per par condicio, c’era anche un sit-in dei pro-life. Mercoledì 8 novembre è iniziato il processo a Marco Cappato per il capo d’accusa “aiuto al suicidio” (nel Codice penale figura all’articolo 580), sebbene l’intenzione politica e giurisprudenziale, se così si può dire, dell’imputato e dei suoi sostenitori sia quella di dimostrare l’anticostituzionalità della norma e sostenere la campagna per l’approvazione di una legge sul fine vita, “un diritto inalienabile che il Parlamento italiano si ostina a negare a milioni di Italiani, cioè il diritto di decidere come vivere la propria vita fino alla fine”. (Associazione Coscioni, Radicali Italiani e galassia limitrofa in realtà sostengono, non da ieri, una legge che consenta l’eutanasia). La vicenda è nota: il 25 febbraio 2017 Cappato aveva accompagnato in auto Fabiano Antoniani, noto come Dj Fabo, gravemente disabile dopo un incidente, nella clinica svizzera Dignitas per sottoporsi a eutanasia (o suiciio assitito). Per l’accusa Cappato avrebbe “rafforzato il proposito suicidiario”, per il tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni aiutare Dj Fabo “è stato suo diritto e nostro dovere”.

 

In altri momenti della vita politica e civile del nostro paese, e anche di Milano – la Regione Lombardia fu l’epicentro giuridico e politico del caso Englaro – l’inizio del processo avrebbe trovato maggiore attenzione e sollevato maggior dibattito, perché le implicazioni di questo procedimento in cui l’imputato rischia teoricamente fino a 12 anni di carcere, ma in cui la posta simbolica e politica è decisamente maggiore, sono importanti. Per qualcuno decisive, ma forse qui si esagera un po’. Per gli amanti della giudiziaria, sarà interessante anche seguire il comportamento della pm Tiziana Siciliano, la stessa che con la collega Sara Arduini aveva quest’estate chiesto l’archiviazione per Cappato, respinta però dal gip Luigi Gargiulo. Ma il clima politico non è tale, al momento, da incendiare gli animi sui temi cosiddetti bioetici. Le prossime due udienze sono state fissate per il 4 e il 13 dicembre, a cavallo del ponte di Sant’Ambrogio in cui per i milanesi è obbligo di culto andarsene via o occuparsi d’altro, dalla prima della Scala all’acquisto del panettone. Il processo di Corte d’Assise potrebbe arrivare a sentenza già tra gennaio e febbraio 2018, il che vuol dire, probabilmente, in campagna elettorale nazionale. Quindi la sua risonanza sarà assai silenziata, oppure amplificata, a seconda delle necessità politiche del momento. Più probabile la prima ipotesi, però.

 

Di questo Marco Cappato e l’Associazione Coscioni, che ha lanciato una campagna digital con l’hashtag #ConCappato, si rammaricano parecchio. E non hanno torto, perché il tema è rilevante e meriterebbe di più dell’insabbiamento parlamentare odierno su biotestamento e fine vita, con rimando ipotetico alla prossima legislatura. Anche perché questo da un lato impedisce ai cittadini di avere una legge in materia, e dall’altro lascia campo libero alla tradizionale tattica di guerriglia giurisprudenziale del movimento radicale, quella di sfidare in tribunale una legge vigente per costringere la politica a vararne un’altra, di segno opposto. Non è un caso se tra i non molti commenti di questi giorni, il quotidiano Avvenire abbia scelto un profilo pacato e in punta di codice, in cui si ricorda che “fino a quando il legislatore non dovesse abrogare questa norma, o la Corte costituzionale dichiararla in contrasto con la nostra Carta fondamentale, il reato resta”. Pertanto i giudici non sono chiamati a stabilire altro (per l’Associazione Coscioni se Cappato sarà assolto “saremo tutti più liberi di scegliere”), ma devono “continuare a verificare, caso per caso, se le azioni dell’imputato hanno o meno integrato la violazione”. Sacrosanto, ma la politica prima o poi dovrà fare di più.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"