Aurelio Picca (foto Ansa)

Preghiera

Aurelio Picca, il cantore monumentale di una Roma senza fine

Camillo Langone

Nel suo nuovo libro “Roma mia, non morirò più”, lo scrittore innalza un altare alla Capitale: cartoline che diventano vestigia, visioni che scavano nella profondità del Lazio e nella memoria di una città eterna. Un’opera vitalista e maestosa che lo conferma come leggenda vivente della nostra letteratura

Monumentale Picca, Aurelio Picca, lo scrittore-eroe che ha eretto un obelisco, una colonna traiana, un altare alla storia recente di Roma: “Roma mia, non morirò più” (La nave di Teseo). Un libro autobiografico, biografico, geografico, finanche toponomastico: “Piazza Vescovio. Ho provato per lei un vero delirio”. Composto di brevi capitoli che lui alla maniera di Arbasino (citato) chiama “cartoline” e che io definirei, più aulicamente, “vestigia”. Di una Roma insieme trascorsa e persistente, di una Roma infinita. Un libro potente, esaltante, che mette voglia di partire verso la Capitale anche a un convinto provinciale come me. Verso Roma o più moderatamente verso i Colli Albani (“affascinanti e segreti quanto quelli Euganei”) o comunque nel Lazio, la cui “vertigine non va misurata in altezza, bensì in profondità. I laghi erano vulcani; le città sono state costruite sulle tombe. Così il Lazio è sotto sé stesso”. Vitalista, visionario, massimalista, sia lodato urbi et orbi questo maestoso autore, cantore di leggende urbane e leggenda egli stesso. La letteratura italiana è viva se è vivo Aurelio Picca.
 

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  • Camillo Langone
  • Vive tra Parma e Trani. Scrive sui giornali e pubblica libri: l'ultimo è "La ragazza immortale" (La nave di Teseo).