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Girotondo di opinioni

Manfredi e Renzi infiammano il Pd. "Hanno ragione". Parlano De Pascale, Giani, Verini e Picierno

Riccardo Carlino

Tra modello Napoli, Margherita 4.0 e Ulivo amarcord. "Dobbiamo unirci per non perire, come si è fatto a destra": strategie dem per battere Meloni alle elezioni

Una nuova Margherita? “Io non ne voglio sapere nulla di questi ragionamenti”. Romano Prodi si sottrae con gentilezza dal commentare l’idea di Matteo Renzi di una Casa Riformista intesa come la Margherita 4.0, capace di aiutare il centrosinistra a vincere nel 2027. A patto che, come ha scritto ieri nel suo intervento sul Foglio, si punti sui temi “su cui Meloni ha totalmente perso il contatto con la realtà”: dalle tasse alla sicurezza. “Aggiungerei come altra parola chiave la crescita”, dice al Foglio Michele De Pascale, presidente dem dell’Emilia-Romagna: “Il dibattito fra radicali e riformisti mi sembra una cosa un po’ stantia. Dobbiamo scendere nel merito dei temi”. Vale al Nazareno, ma ancor di più nei rapporti all’interno delcampo largo. E l’esempio plastico di come unirsi faccia la differenza lo offre la maggioranza: “In uno scenario politico in cui a destra stanno insieme dall’ultimo elettore estremista fino al più moderato, è più che evidente: o il centrosinistra è capace di mettere in campo una coalizione altrettanto vasta e variegata o si rinuncia a giocare una partita e vincerla”, spiega De Pascale.

                  

 

Unirsi per non perire, sulla scorta del modello Napoli di “riformismo radicale” rivendicato su queste pagine dal sindaco Manfredi, di quello della stessa Emilia-Romagna e della Toscana. Regione in cui gli elettori hanno dato molto credito al progetto renziano, che ha preso l’8,9 per cento. “La soluzione vincente delle ultime regionali è stata quella di creare una rete riformista. Un’area raccolta intorno a personalità civiche e realtà di centro. Non solo Renzi, ma anche socialisti, Più Europa e forze ispirate da valori liberali”, ricorda Eugenio Giani, riconfermato presidente della Toscana. “Tutto deve essere saldato da una rete che dia dignità a ogni forza. E in questo può aiutare anche l’area riformista dem, nel trovare personalità civiche che magari non si riconoscono a pieno nel Pd ma possono essere comunque candidate. Se in tutte le regioni si fa questo lavoro – è convinto il governatore –  possiamo arricchire il centrosinistra e renderlo vincente”

Insomma: Napoli e Toscana come modelli per arrivare a Palazzo Chigi? Sì, ma fino a un certo punto. Per Walter Verini “il Pd deve essere in grado di esprimere radicalità nei principi di sinistra e concretezza di soluzioni”. Secondo il senatore dem, una forza moderata esterna al Pd, e che vuole allearsi, è benvenuta. Ma il riformismo deve partire dall’interno del partito, senza “delegare ad altri, in outsourcing, il dialogo con altri ambienti e forze sociali. D’altronde lo stesso Pd è nato unendo anime più radicali e moderate”. Per Verini, “il Pd non può più pensare di rivolgersi solo ‘a sinistra’, appaltando fuori il rapporto con imprese, partite Iva e sindacati. Non si deve parlare solo alle curve, ma a tutto lo stadio”.

Un grande Pd riformista e concreto dunque, che stringe ampie intese progressiste attorno a un programma. “Questo viene prima di tutto, e Manfredi ha ragione a dirlo”, dice Pina Picierno, vicepresidente del Parlamento Ue. Ma un programma, per essere credibile, “deve essere chiaro e lungimirante. Avere linee rosse non superabili, come il sostegno a Kyiv, la collocazione atlantica, la costruzione di un’Europa libera, forte e che sappia difendersi”, senza essere “una mediazione al ribasso, frutto del compromesso bipopulista e delle pulsioni dei potenziali alleati”. Per battere Meloni e le destre in Italia e in Europa, secondo la dem, “non servono coalizioni fatte col pallottoliere ma aggregazioni credibili in grado di vincere le sfide del presente”. Resta però il nodo della leadership. “Sulle primarie il rischio di fratturarsi c’è”, ragiona Verini in linea con Manfredi, secondo cui il Pd non ha bisogno di nuove lacerazioni. La scelta del leader, seppure importante, “non può avvenire prima di un accordo vero e credibile sui programmi. Se si parte dal tetto, invece che dalle fondamenta – dice Verini – si costruisce un edificio fragile”. Scarta l’ipotesi primarie anche De Pascale: “Con questa legge elettorale non hanno senso. Penso si debba votare con quella attuale. Se poi dovesse cambiare, valuteremo di conseguenza”.

Che fare, quindi? Verini non ha dubbi: “Copiare ciò che fece Prodi nel 1995. Partì in giro per l’Italia e costruì dal basso comitati e associazioni, poi ricomposti nell’Ulivo. La desistenza con Bertinotti fu un guaio, ma quella coalizione aveva un programma solido e credibile. E un leader che lo interpretava”. Dal profumo di Margherita a quello dell’Ulivo, nel giardino del Pd si annaffiano proposte e idee. Magari fioriranno.