Alessandra Todde (foto LaPresse)

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I passi falsi sulla sanità dell'esperimento Todde in Sardegna

Giovanni Rodriquez

La sanità sarda resta il banco di prova della prima giunta regionale a guida M5s. Le bocciature della Consulta, la revoca dell’assessore e le contraddizioni su rinnovabili e industria bellica espongono la presidente a una sfida che va ben oltre la salute pubblica

La Sardegna è un laboratorio politico a cielo aperto. La prima regione guidata dal M5s, con Alessandra Todde eletta presidente nel febbraio 2024 dopo una campagna elettorale fortemente incentrata sulla sanità, tema storicamente sensibile in un’isola segnata da carenze strutturali, mobilità passiva e profonde disuguaglianze territoriali. A quasi due anni dall’insediamento, il bilancio è fatto di luci e ombre, con segnali incoraggianti accanto a ritardi, scelte controverse e contraddizioni politiche che vanno oltre il solo perimetro sanitario.

Partiamo dai dati. Nel 2023, ultimo anno pienamente fotografato dal monitoraggio dei Livelli essenziali di assistenza, solo 13 regioni rispettavano gli standard minimi di cura. Al Sud, appena tre: Puglia, Campania e Sardegna. Un risultato non scontato, che segnala una tenuta complessiva del sistema regionale e una capacità di garantire prestazioni essenziali migliore rispetto ad altri territori meridionali.

Il quadro si fa però più complesso se si guardano i numeri più recenti legati all’attuazione del Pnrr, banco di prova decisivo per la sanità territoriale. Su 80 Case della comunità programmate in Sardegna, a settembre 2025 solo 27 risultavano avere almeno un servizio attivo. Nessuna, però, era pienamente operativa con tutti i servizi previsti; zero anche quelle con medici e infermieri già stabilmente presenti. Critico anche il dato sugli ospedali di comunità: appena due dichiarati attivi rispetto ai 34 programmati. Meglio va per le Centrali operative territoriali, 16 funzionanti su 24, ma il quadro complessivo resta quello di un’attuazione a rilento, che rischia di far perdere all’isola un’occasione storica di rafforzamento dell’assistenza di prossimità.

A complicare il percorso della giunta Todde sono arrivate due vicende che hanno inciso sull’immagine della giunta in materia di sanità. La prima è la sentenza della Corte costituzionale che ha bocciato due pilastri della legge regionale 8 del 2025, eredità del riassetto voluto dalla giunta Solinas. La Consulta ha dichiarato incostituzionali sia la norma che consentiva ai nuovi direttori generali di sostituire entro 60 giorni i vertici amministrativi e sanitari, sia il commissariamento straordinario di tutte le 13 aziende sanitarie sarde con decadenza automatica dei direttori generali in carica. Una pronuncia netta, che riafferma i principi di imparzialità e buon andamento, ma che costringe la regione a ripensare il percorso di riorganizzazione. Il messaggio della Consulta è chiaro: la competenza concorrente in materia di tutela della salute non consente scorciatoie politiche né azzeramenti generalizzati. Il risultato è che il piano di riordino dovrà essere riscritto, senza il colpo di spugna sui vertici aziendali né commissariamenti di massa.

La seconda vicenda è stata ancora più dirompente sul piano politico: la revoca dell’assessore alla Sanità Armando Bartolazzi, oncologo ed ex sottosegretario alla Salute nel primo governo Conte. Un’uscita di scena accompagnata da polemiche. Bartolazzi ha parlato di una sanità regionale in ritardo di 25 anni e di un’occasione persa per la creazione di un Irccs, che – a suo dire – l’isola non avrà più. Todde ha scelto di assumere ad interim la delega alla Sanità, rivendicando una presa diretta sui dossier e promettendo decisioni “chiare, rapide e condivise”. Ha difeso Bartolazzi sul piano umano e professionale, ma di fatto ne ha sancito l’uscita dal ruolo politico: una scelta che la espone in prima persona, senza più alibi.

Il contesto, però, va oltre la sanità. La giunta Todde si muove in un quadro di crescenti contraddizioni politiche. La Corte costituzionale ha bocciato anche la legge regionale sulle aree idonee che di fatto bloccava le fonti rinnovabili: un altro colpo a una giunta che aveva fatto dell’opposizione agli impianti una bandiera elettorale, sebbene si dichiari ambientalista e favorevole alla transizione energetica.

Ancora più delicata la partita sulla fabbrica di armi RWM nel Sulcis Iglesiente. La vicenda legata all’ampliamento dello stabilimento ha aperto un fronte con il governo nazionale, che minaccia il commissariamento, oltre a tensioni crescenti dentro la maggioranza regionale di centrosinistra. Che il M5s, a livello territoriale, su armi e rinnovabili si muova in direzione opposta rispetto alla linea di Conte dice molto delle difficoltà del partito nel tenere insieme coerenza politica e responsabilità di governo.

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