Caso Giorgetti e non solo
L'Italia spiegata con le pazzie sulle pensioni. Fornero spiega l'Italia del welfare
Trattare gli elettori da adulti o evadere dalla realtà? “Per tenere a bada la spesa pensionistica occorre aumentare il tasso di occupazione e allungare la vita lavorativa”. “Troppe visioni di corto raggio”. Ecco le vere disfatte del populismo sul welfare
Tra i pasticci economici e previdenziali di questo finale di manovra Elsa Fornero, parlando con il Foglio, non vuole perdere il quadro d’insieme e cerca sempre di unire il parere sui tentativi estemporanei di correzione delle tendenze di spesa con la visione generale delle questioni previdenziali e del loro imprescindibile legame con l’andamento del mercato del lavoro. “Credo, anche senza averne alcuna prova – ci dice – che il ministro Giorgetti abbia risentito di una certa ansia legata al rischio di non ottenere, a partire dall’anno prossimo, l’uscita dalla procedura d’infrazione Ue per deficit eccessivo avviata nel giugno 2024, dopo la riattivazione del Patto di Stabilità. Poiché la spesa pensionistica, già tra le più elevate in Europa, continuerà ad aumentare per effetto del rapido invecchiamento della popolazione e per la diminuzione delle classi in età di lavoro, in un periodo in cui occorrerà trovare ingenti risorse per la Difesa, il ministro ha voluto “portarsi avanti”, inserendo nella manovra misure di futuro contenimento della spesa pensionistica. Credo perciò che Giorgetti (non un’anonima “manina”) sia intervenuto per rassicurare la commissione di Bruxelles e le istituzioni internazionali sulla capacità del governo di ‘presidiare’ la spesa, anche se ha sottostimato le conseguenze politiche di queste scelte”.
Ma, rinunciando a questi interventi, la manovra per il 2026 in che modo tocca la previdenza e anche il lavoro? “Anzitutto, serve una onesta presa d’atto di cambiamenti che peraltro sono sotto gli occhi di tutti. L’esperienza comune ci dice che in molti ambienti (tranne ovviamente scuole e università), il numero degli anziani tende oggi a superare quello dei giovani. Una società che invecchia, e nella quale il pagamento delle pensioni è finanziato dai contributi dei lavoratori, ha bisogno di invertire, con l’allargamento della platea di occupati e di base contributiva, il naturale aumento del numero di anziani. Per tenere a bada la spesa pensionistica occorre, perciò, aumentare stabilmente il tasso di occupazione, soprattutto femminile, e allungare la vita lavorativa, cioè spostare in avanti l’età di pensionamento, in particolare quello anticipato”.
“Il ministro dell’Economia – continua Elsa Fornero – non ha un controllo diretto sull’occupazione e sui salari – ciò che richiede un piano di lungo termine e la convergenza di molti fattori favorevoli alla crescita – ma ha la responsabilità di gestire la spesa pubblica, di cui la previdenza è la voce principale. Quello che è più difficile da comprendere è che abbia cercato di farlo senza prima avere ‘preparato’ la maggioranza di governo e, in particolare, il suo stesso partito, che del diritto a uscire con 40 anni di anzianità ha fatto, da circa un quindicennio, l’elemento centrale della sua propaganda”.
Proviamo a dare una prima spiegazione di questa apparente avventatezza. E’ che manca il dialogo con le parti sociali e i progetti di riforma arrivano per forza un po’ all’improvviso, calati dall’alto, con i sindacati in gran parte chiusi in una posizione puramente antagonista o in tentativi di sussidiarietà politica a sinistra. “Sì, è una caratteristica della politica populista che ormai imperversa, e non soltanto nel nostro paese. Si procede per slogan e soprattutto si tende ad avere visioni di corto raggio. Un metodo inefficiente e ingannevole quando si parla di sistema pensionistico pubblico che, non dobbiamo mai dimenticare, è un contratto tra generazioni, una casa comune di giovani, anziani e anche di generazioni non ancora nate, la cui stabilità dipende in modo fondamentale dalla demografia e dall’economia, e cioè da occupazione e retribuzioni. Se non ne vediamo anticipatamente le crepe, il rischio che crolli è reale, con conseguenze gravi per tutti. Le riforme servono a questo, a evitare che le crepe si trasformino in lacerazioni profonde. Oltre all’invecchiamento, l’altro grande elemento di debolezza è il mondo del lavoro: la precarietà occupazionale; le retribuzioni stazionarie, in termini reali, da troppo tempo da circa un quarto di secolo; la disoccupazione giovanile e l’emigrazione di molti giovani, spesso tra i più istruiti. E se le retribuzioni sono basse, anche le pensioni saranno basse, al di là delle promesse politiche. Invece di illudere i cittadini, occorre recuperare una visione di lungo termine e trasmettere un minimo di cultura previdenziale. Mi capita, per esempio, di incontrare molte persone che mi chiedono, e si chiedono, 'dove sono finiti i loro soldi', intendendo i contributi versati, rivelando l’idea che i contributi versati siano un gruzzolo da qualche parte in attesa di essere convertiti nella pensione. Rispondo che i soldi da loro versati sono stati spesi per pagare pensioni magari del loro papà o della loro mamma o di chissà chi. Molti restano interdetti. Manca, in particolare, la consapevolezza del funzionamento del contratto generazionale e si fa fatica ad accettare la realtà dei numeri: lavoratori che diminuiscono, salari che non crescono e promesse pensionistiche impossibili, in queste condizioni, da mantenere. E’ chiaro che bisogna trovare un bilanciamento tra questi opposti interessi di generazioni di padri e di figli, di madri e di figlie”.
Può essere che, almeno nei casi in buona fede, i recenti record nel tasso di occupazione abbiano dato l’illusione che il sistema si stesse stabilizzando da solo grazie all’andamento positivo del mercato del lavoro? “Direi che se uno guarda i dati non c’è molto da illudersi, perché il tasso di occupazione al 63 per cento è sì il più alto negli ultimi venti anni – un dato in sé positivo – ma si tratta pur sempre di uno dei tassi più bassi in Europa, con quello greco e quello romeno. E’ vero: da noi c’è occupazione in nero che magari alleggerisce la povertà ma sottrae contributi e diritti: chi si trova costretto a lavorare in nero non versa contributi ma neppure si costruisce una pensione e può avviarsi a un futuro drammatico, questione che dovrebbe richiedere un maggiore impegno nel contrasto all’evasione da parte dello stato. E, come detto prima, serve occupazione di qualità, meglio remunerata. Il nostro paese ha un problema strutturale di retribuzioni e di redditi da lavoro autonomo, se si escludono alcune ricche professioni, troppo bassi. E’ su questo aspetto che bisogna investire per dare solidità al sistema previdenziale, non su regole illusoriamente generose. A monte, sta – o dovrebbe stare – la crescita economica, trainata da due fattori: l’occupazione e la produttività. Abbiamo bisogno di una strategia che faccia in modo che nel paese cresca stabilmente l’occupazione, soprattutto delle donne, e che cresca la produttività, in modo che i salari possano aumentare senza necessariamente ricorrere alla riduzione dell’aliquota fiscale”.
Tra i provvedimenti rigettati c’è anche la svalutazione degli anni universitari ai fini dei calcoli dell’età previdenziale. “Sì, una misura sbagliata per due ragioni: anzitutto, il riscatto non è (più) un regalo ma un’opportunità di aumentare gli anni di contribuzione pagando all’Inps il giusto corrispettivo, una misura di libertà e di lungimiranza; in secondo luogo, abbiamo bisogno di aumentare la quota di laureati tra i giovani, senza che gli anni di studio penalizzino il loro futuro. Anche l’abolizione dell’aumento delle ‘finestre’ è positiva perché se si vuole aumentare l’età di pensionamento occorre farlo a viso aperto, senza furbizie, con il coraggio di chi persegue una strategia di lungo termine. Mi pare inoltre opportuno – salvo vedere poi, nei decreti attuativi, i dettagli dell’applicazione – che abbiano recuperato la norma sul silenzio-assenso per l’adesione alla previdenza integrativa da parte dei nuovi lavoratori. Il vantaggio dei fondi pensione è che i contributi hanno normalmente un rendimento più alto di ciò che viene riconosciuto nel sistema pubblico, in cui il tasso di rendimento è pari alla crescita percentuale del pil, da noi tendenzialmente molto bassa, mentre sul mercato finanziario si hanno normalmente (ma senza sicurezza) rendimenti superiori. Affiancare una piccola componente di previdenza integrativa al pilastro centrale della previdenza pubblica migliora la sicurezza economica nell’età anziana! Occorre però che i lavoratori siano ben informati e possano scegliere. In sintesi, la nuova versione dell’emendamento non cancella ma attenua le restrizioni al pensionamento anticipato, consentendo al ministro Giorgetti di dire ‘sulle pensioni ho fatto quello che potevo’ e alla Lega di pretendere di non avere perso completamente la faccia. I tempi migliori, intanto, possono attende”.