Editoriali
Salvini assolto, salvinismo condannato
Il caso Open Arms si chiude, ma Giorga Meloni, per fortuna, rottama il metodo Salvini sui migranti. La gestione di un argomento delicatissimo come quello dell'immigrazione non è più un palcoscenico per la propaganda politica
La notizia è semplice e importante: assoluzione definitiva per Matteo Salvini nel processo Open Arms, con la Cassazione che rigetta il ricorso della procura di Palermo. Salvini è stato assolto “perché il fatto non sussiste” dal tribunale di Palermo nel dicembre 2024 dalle accuse di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio, per lo sbarco negato di 147 persone, tra cui minori, soccorse dalla ong Open Arms nel corso di tre salvataggi nell’agosto 2019, quando rivestiva l’incarico di ministro dell’Interno. Fine della partita giudiziaria, fine della suspense, fine – almeno in teoria – della narrazione per cui un ministro sarebbe perseguitato perché “protegge i confini”. Salvini festeggia, ed è comprensibile: in democrazia le sentenze si rispettano, e quando una vicenda dura anni è umano provare sollievo.
La Cassazione, per definizione, non riscrive la storia politica di un paese: dice se un’interpretazione regge o non regge, se un impianto giuridico sta in piedi oppure no. E il verdetto, qui, è definitivo. In questi anni, lo sappiamo, attorno a Open Arms, si è costruita una caricatura: i giudici che inseguono un leader politico, la magistratura che fa opposizione, la toga che sostituisce l’urna. Caricatura utile, perché ha trasformato una vicenda complessa in una sceneggiatura semplice: il perseguitato contro il sistema. Solo che la realtà è più banale e, per questo, più seria. Nel 2019 Salvini rivendicò apertamente di voler forzare regole e trattati, di sfidare il diritto del mare, di trasformare una questione delicatissima – la gestione di persone soccorse – in un palcoscenico politico. Non era un dettaglio tecnico: era una scelta identitaria. E quando si decide di mettere la propaganda sopra la cornice giuridica, non ci si può poi stupirsi se qualcuno gli chiede conto di dove finisca la politica e dove cominci la legge.
Detto questo, c’è un’altra verità, altrettanto evidente, in questa storia: l’accanimento. Eccessivo nella teatralizzazione, nella voglia di trasformare un caso in un simbolo, nella tentazione di “fare giustizia” nel senso moralistico del termine. Eccessivo, soprattutto, perché per alcuni la giustizia non doveva più limitarsi a far rispettare la legge, ma doveva diventare il luogo in cui punire un’idea politica. Anche chi pensa che Salvini abbia sbagliato nel 2019 (ci siamo anche noi) deve arrendersi all’idea che la giustizia non serve a difendere un principio astratto, serve a verificare responsabilità penali. Il processo, dunque, non era scandaloso. Lo scandalo era pretendere che quel processo diventasse una scorciatoia per liquidare politicamente Salvini.
E infatti, paradossalmente, l’aspetto più interessante di questa fase storica è questo: Salvini non è stato condannato da un tribunale, è stato condannato dalla politica. Non l’ha condannato una sentenza: l’ha condannato Giorgia Meloni. Non con una battuta, ma con una linea di governo che, per quanto imperfetta e spesso contraddittoria, ha stravolto l’approccio salviniano. Basta ascoltare le parole pronunciate ieri alle Camere: l’ossessione non è più “sfidare l’Europa”, ma far funzionare l’Europa come cornice e come scudo (cosa che l’Italia sta facendo a colpi di accordi con i partner dell’Ue, accordi sgraditi non a caso alla Lega di Salvini). I confini non come teatro muscolare, come si sarebbe detto un tempo, ma come dossier multilaterale: cooperazione, rimpatri, paesi terzi, deterrenza, cornice normativa europea (sull’immigrazione, l’Albania è il dito, la luna è l’Europa). Si può criticare questa strategia, si può dire che non basta, si può sostenere che è troppo lenta. Ma è l’opposto della stagione in cui l’Italia cercava di vincere da sola contro il mare e contro i trattati, e poi chiamava “sovranità” ciò che spesso era solo isolamento. Il dato politico, in buona sostanza, è che Meloni ha capito una cosa elementare: l’immigrazione non si governa con un braccio di ferro permanente, e la retorica dei “porti chiusi” non è una politica, è un titolo. Salvini è stato assolto, per fortuna. Il salvinismo, nei fatti, no. E forse è questa la notizia più utile per chi vuole proteggere i confini considerando il rispetto dello stato di diritto più importante di una diretta su Instagram.