un comunista italiano
Nel nome di Cossutta. Amarcord con D'Alema, Canfora e Bindi (perché anche il presente intenda)
Convegno in memoria dell'alto dirigente del Pci pre-Bolognina. Ricordi di campagne elettorali tra trotskisti convinti di vivere nel 1922 e di disaccordi ai tempi del Kosovo
Fuori infuriano venti di guerra e parole in libertà; dentro (alla Camera) si ricorda con lessico e spirito alto Armando Cossutta, storico dirigente del Pci pre-Bolognina e protagonista della scissione. “Cossutta, un comunista italiano”, è il titolo del convegno organizzato, tra gli altri, dalla figlia Maura a dieci anni dalla morte, e l’effetto viaggio nel tempo non è dato soltanto dai volti dei relatori, da un lato pilastri della sinistra intellettuale e politica (il filologo Luciano Canfora e l’ex premier Massimo D’Alema), dall’altro di provenienza democristiana eretica come l’ex ministro Rosy Bindi. Si rincorrono rimandi, immagini e citazioni di altissimi dirigenti che, per tenersi in esercizio, traducevano dal tedesco di primo mattino Marx ed Engels; si odono racconti dei tempi in cui non solo lo smartphone, ma pure il computer era di là da venire. E insomma: si ricorda Cossutta e, dice la figlia, il suo “pensiero politico attualissimo”. Ed ecco il filo rosso, in senso letterale: pensiero contro il riarmo e in nome dell’articolo 11. Il professor Canfora va con la mente al biennio “di passione” che portò alla trasformazione del Pci in Pds, la famosa svolta che Cossutta non voleva e non volle al punto da scindersi in Rifondazione, per poi riscindersi in disaccordo con Fausto Bertinotti (definito da Canfora a un certo punto “dannunziano”, con molte risate in sala). Bindi invece non era del tutto certa di voler partecipare al convegno, dice, ma si è convinta dopo aver ascoltato la ministra dell’Università Anna Maria Bernini ad Atreju quando, citando Silvio Berlusconi, ha dato di “poveri comunisti” ai contestatori. E a quel punto Bindi ha deciso: vado proprio da loro, i comunisti. Canfora racconta di perduti e preziosi consessi di filosofi in Germania e di prime campagne elettorali tra trotskisti “che pensavano di vivere ancora nel 1922-23”, con Cossutta a far da maestro (“le elezioni si vincono capillarmente”) e da faro con il suo persistente spirito unitario. E nel 1994, quando la macchina da guerra di Achille Occhetto “partì ma non arrivo”, lui, Cossutta, dice Canfora, cercò di creare ponti e non “rotture insanabili”. E, parlando di riformismo come “grande alveo” in cui refluisce la “vicenda rivoluzionaria”, il professore molto si stupisce (“si parla della mite e innocua segretaria del Pd come di ‘sinistra radicale’, dice trasecolando) e quasi dà ragione a Giulio Andreotti (della serie: noi siamo rimasti dove eravamo, sono gli altri a essersi spostati). Si rimpiange la “testardaggine” di Cossutta, sinonimo di “coerenza” (Bindi, come lui, si sente “persona di confine” fin dai tempi in cui dire “cossuttiani” poteva essere considerata offesa). E se si coccola nel ricordo un certo tipo di dialogo Pci-Dc, non sempre è lostesso per il processo successivo tra eredi delle due famiglie comuniste e democristiana, attraverso Tangentopoli e lungo la storia Pds-Ds-Pd. Ed è dolente, l’ex ministra, quando pensa all’impegno per la pace di Cossutta (“penso D’Alema si ricordi”, dice all’indirizzo dell’ex premier seduto poco oltre, alludendo alla sua posizione sulla guerra nell’ex Jugoslavia). Si rammarica, poi, Bindi, per la mancanza di coraggiosi spiriti diplomatici (“c’è qualche cardinale, manca un Giorgio La Pira”) e per la perdita della capacità di “regolare il capitalismo”. “Abbiamo smarrito la strada”, dice pensando di nuovo a Cossutta che è rimasto comunista proprio per quel motivo: regolare il capitalismo. Ma oggi chissà, si chiede: e se il Pci fosse rimasto comunista? E se Aldo Moro e Piersanti Mattarella non fossero stati uccisi, la storia d’Italia sarebbe cambiata?
Gli interrogativi aleggiano senza risposta mentre D’Alema rievoca i giorni della Bolognina e, indietro nel tempo, il suo incontro con un Cossutta “potentissimo”, alto dirigente dell’ufficio segreteria, quando lui era invece un giovane funzionario-studente del Pci, “negli anni Settanta del secolo scorso”, quando tra “discoli” compagni di sezione si chiamavano le consultazioni “cossuttazioni” (della serie: gli alti dirigenti ti ascoltavano, racconta D’Alema, ma ti suggerivano in qualche modo cosa dovessi pensare). Prende banco, nel ricordo, un particolare scontro generazionale: cossuttiani contro a-sovietici (D’Alema scandisce bene l’alfa privativo) mentre risponde a Bindi sia sull’ex Jugoslavia, citando Oscar Luigi Scalfaro e Bill Cinton, sia sul rapporto Pci-Dc che “non reggeva più”. Cossutta, intanto, resta, per tutti, “disciplinato” nella sua fermezza e sempre pronto a “operare per l’unità”. Lezione per qualcuno? Di nuovo: chissà.
la dichiarazione