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il caso
Liberato l'imam di Torino Shahin. Meloni: “Come difendiamo la sicurezza se i giudici annullano tutto?”
La Corte d’appello di Torino ha disposto la liberazione dell’imam torinese, detenuto dal 24 novembre nel cpr di Caltanissetta. Aveva detto di essere “d’accordo” con il pogrom del 7 ottobre. La premier: “Istiga il terrorismo"
La Corte d’appello di Torino ha disposto la liberazione dell’imam torinese Mohamed Shahin, detenuto dal 24 novembre nel centro di permanenza per il rimpatrio di Caltanissetta. Shahin – a cui è stato consegnato un permesso di soggiorno provvisorio emesso dalla Questura di Caltanissetta – aveva ricevuto un decreto di espulsione dal ministero dell’Interno Matteo Piantedosi perché accusato di avere posizioni religiose estremamente radicali. Per il suo rientro a Torino si erano mobilitati diversi manifestanti e attivisti, fra cui quelli che il 28 novembre scorso fa hanno partecipato all'assalto della redazione della Stampa, scrivendo proprio sui muri dell'ufficio "Free Shanin".
Immediata la reazione della premier Giorgia Meloni: “Parliamo di una persona che ha definito l’attacco del 7 ottobre un atto di 'resistenza', negandone la violenza. Che, dalle mie parti, significa giustificare, se non istigare, il terrorismo. Qualcuno mi può spiegare come facciamo a difendere la sicurezza degli italiani se ogni iniziativa che va in questo senso viene sistematicamente annullata da alcuni giudici?”, ha scritto sui social.
Dopo avere esaminato i "nuovi elementi emersi", i giudici torinesi hanno escluso "la sussistenza di una concreta e attuale pericolosità" dell'imam. Inoltre hanno sottolineato che Shahin è da vent'anni in Italia ed è "completamente incensurato". Nella nuova documentazione presentata dagli avvocati dell'imam figurava anche l'archiviazione, da parte della procura di Torino, di una denuncia per le frasi che l'uomo aveva pronunciato lo scorso ottobre durante una manifestazione pro Pal (menzionate dal decreto di espulsione), in cui l’imam disse di essere “d’accordo” con quanto successo il 7 ottobre del 2023, e che il massacro compiuto dai miliziani di Hamas in Israele, in cui furono uccise circa 1.200 persone e altre 250 furono rapite, “non è una violenza”. Frasi che secondo i giudici della Corte d’appello non bastano a formulare "un giudizio di pericolosità in uno stato di diritto", tanto più che già la procura di Torino le aveva valutate come semplice "espressione di pensiero che non integra estremi di reato" e che "sono da ritenersi pienamente lecite in quanto rientranti nell’alveo degli articoli 21 della Costituzione e 10 della Cedu". "Altro aspetto - prosegue l’ordinanza - è la condivisibilità o meno di tali affermazioni e/o la loro censurabilità etica e morale, ma tale giudizio non compete in alcun modo a questa Corte e non può incidere di per sé solo sul giudizio di pericolosità in uno stato di diritto, risultando quindi del tutto inconferente, ai fini che interessano in questa sede, contrariamente a quanto sostenuto dalla questura, una ritrattazione o meno delle predette dichiarazioni nell’udienza di convalida del trattenimento".
Il Viminale andrà comunque avanti sulla strada dell'espulsione, anche dopo la decisione della Corte di Appello. Il ministero dell'Interno farà infatti ricorso in Cassazione per ottenere il rimpatrio dell'Imam ritenuto pericoloso per la sicurezza nazionale. Sull'espatrio deve esprimersi il tar del Lazio. Attualmente, a carico dell'imam sono in corso altri due processi: uno contro la revoca del suo permesso di soggiorno, sulla quale dovrà decidere il tar del Piemonte, e uno sulla sua richiesta di asilo, su cui è chiamato a esprimersi il tribunale di Caltanissetta.