La giornata
Meloni ukraini! Incontra Zelensky che la ringrazia. Il governo crede nella trattativa. Tajani e Crosetto fanno tandem
L'incontro dura un'ora e mezza. Si parla del Dombass che "Putin non ha conquistato sul campo" e delle "robuste garanzie" da garantire a Kyiv per la difficile mediazione con Trump. Il ministro della Difesa incontra il capo dei negoziatori ucraina Umerov. Il titolare degli esteri: "Entro fine anno il nuovo decreto armi"
A Zelensky piace il ponte di Meloni. Il presidente ucraino incontra la premier a Palazzo Chigi e loda l’Italia, il governo. Ora è Meloni a dire in privato: “Il ruolo dell’Italia verrà premiato. Non mi importa essere protagonista, mi importa essere utile all’Ucraina”. Un’ora e mezza di colloquio, le promesse della premier, le parole di Zelensky su X per “il ruolo attivo dell’Italia nel generare idee concrete e definire misure per avvicinare alla pace”. Crosetto incontra il capo dei negoziatori ucraini, Rustem Umerov, Tajani il suo omologo ucraino Andrii Sybiham. Meloni, Crosetto e Tajani fanno il punto prima della visita di Zelensky. La pace, e lo spiega il presidente ucraino, non è irraggiungibile, la trattativa va avanti. Zelensky racconta di città dove manca l’energia per “18 ore al giorno”, “i russi colpiscono in maniera chirurgica”. E’ sempre assedio.
Alle 15, Zelensky entra a Palazzo Chigi. Per ragioni di sicurezza vengono chiuse le porte. Le auto del corteo presidenziale avanzano accolte in piazze da attivisti di Più Europa che gridano “Slava Ukraini”. Sul balcone di Palazzo Chigi sventolano le tre bandiere: quella ucraina, quella italiana e quella dell’Unione Europea. Al ministero della Difesa viene, poche ore prima, ricevuto Umerov. Crosetto ragiona con lui sui venti punti del piano di pace Trump. Zelensky annuncia su Telegram che le proposte di Ucraina ed Europa sono pronte per essere inviate all’America. Per Meloni l’inaccettabile è la richiesta di Putin sul Donbas. E’ convinta, almeno è quello che ripete al suo partito, che “non si devono cedere a Putin territori che non è riuscito a conquistare in tre anni di guerra. La Russia non ha mai sfondato nel Donbas”. Questa volta è Zelensky a dichiarare, ad apprezzare la linea Meloni. Rilascia dichiarazioni alla stampa, “fiducia in Meloni”, garantisce di essere “sempre pronto alle elezioni” (che Trump considera il motivo delle sue resistenze al piano di pace). Aggiunge: “Mi fido di Meloni, sono sicuro che ci aiuterà”.
Facciamo la parte della nazione che parla con Trump, il bullo. Meloni fa la parte di chi va a parlare nel bosco con il lupo, e Zelensky si dice grato perché “insieme agli americani, contiamo di rendere le misure il più efficace possibile. Siamo interessati a una pace autentica e siamo in costante contatto con l’America”. Nel corso del colloquio, si dà grande attenzione a quelle che a Chigi definiscono le “robuste garanzie di sicurezza” che dovranno da un lato impedire future aggressioni, e dall’altro assicurare che la Russia “sieda al tavolo negoziale in buona fede”. E’ Meloni ad assicurare (il solo presente al colloquio è il capo della diplomazia italiana, Fabrizio Saggio) che “l’Italia continuerà a fare la sua parte anche in vista della futura ricostruzione dell’Ucraina”.
Si gioca di sponda. E la sponda di Meloni, al governo, sull’Ucraina, è Forza Italia. Tajani ricorda che entro la fine dell’anno ci saranno tre o quattro consigli dei Ministri e questo significa che il decreto Ucraina arriverà “prima della fine dell’anno, verrà messo all’ordine del giorno”. Perché non farlo domani? Sarebbe il regalo di Natale per Salvini. E’ vero che c’è un popolo aggredito (dicono in piazza degli ucraini: “Zelensky? Cosa volete che dica a Meloni? E’ chiaro che gli dica grazie”) ma è vero che Meloni incassa, in questa Italia disagiata (il Pd non riesce neppure a fare una sgambata al Colosseo per Kyiv) “l’eccellente” di Zelensky. Nel tempo dove conta solo la scena, Meloni si prende la parte. Ormai anche l’ultimo italiano sa che stiamo destinando generatori elettrici all’Ucraina e Zelensky lo ricorda: “Desidero esprimere la mia gratitudine per il pacchetto di assistenza energetica e per le attrezzature necessarie: è esattamente ciò che sosterrà le famiglie ucraine”. La parte, l’altra, di chi chiede ancora uno sforzo, la recita il ministro degli esteri ucraino, Andrii Sybiha. Nel suo colloquio con Tajani, scrive Sybiha su X: “Ho ricordato come urgono decisioni per rafforzare l’Ucraina e intensificare il pressing sull’aggressore". Il riferimento è agli asset russi congelati “di cui – dice il ministro degli Esteri di Kyiv a Tajani - è importante consentire il pieno utilizzo” (l’Italia su questo è tra i paesi che frenano come il Belgio). C’è inoltre la richiesta di “aumentare ulteriormente i contributi all'iniziativa Purl” per gli acquisti di armi americane. L’Italia attende, esita, perché siamo sotto manovra, e il bilancio è magro. Salvini bofonchia. Finora la linea di Meloni è sempre uguale: “Alla fine, la sola a parlare con Trump, a favore dell’Ucraina, sarò io”. Non si fida di Germania, Inghilterra, e Francia, della “scena”, delle telefonate. Ripete che la sola “pace è quella che va bene a Kyiv”. Non è poco. C’è da sperare che rimanga la sua parola, la linea del governo, dell’Italia. E’ un tempo miserabile. La pace è in mano ai bulli e noi siamo fortunati perché uno dei due ha una simpatia per Meloni.