Ansa
Dopo la bufera sulla presunta malagestione
La sentenza sul Centro sperimentale che dà ragione a Castellitto, e un suo desiderio
Nessun licenziamento arbitrario. Punto. "Non sono né contento né scontento", dice l'attore e regista. A cui piacerebbe "un gesto" da parte del Centro: la pubblicazione della decisione del giudice
“Sono pacificato”, dice Sergio Castellitto. Lo dice da attore e da regista. E lo dice anche da ex presidente della Fondazione Centro Sperimentale di cinematografia di fronte alla sentenza di un giudice del lavoro che, qualche giorno fa, gli ha dato ragione in pieno dopo il gran bailamme scoppiato attorno al suo incarico, con accuse di malagestione poi rivelatesi infondate. Un incarico conclusosi a fine 2024 con le dimissioni, motivate da Castellitto con il desiderio di tornare al suo lavoro, ma avvenute in un clima da “character assassination”.
E dunque lui, Castellitto, oggi si sente “non contento né scontento”. Pacificato, “ma”. E per capire quel “ma” bisogna andare indietro: alla tempesta antipatizzante di fine estate e inizio autunno 2024, con accuse amplificate su media e social; alla quiete dopo la tempesta (il ritorno sul set); infine, allo scenario da metaforico passaggio del cinese sulla riva del fiume, oggi, sotto forma di suddetta sentenza che mette la parola fine alle accuse che paventavano il licenziamento arbitrario di Stefano Iachetti, ex dirigente del Csc, allontanato per aver pianificato l’assunzione di personale senza autorizzazione. Partendo dalla fine, dunque, c’è la giudice del lavoro Valentina Cacace che, il 2 dicembre 2025, rigetta la richiesta di “impugnazione di licenziamento per giusta causa e risarcimento danni” di Iachetti. Sempre partendo dalla fine, il magistrato ritiene, si legge nella sentenza, “che non sia stata raggiunta la prova di episodi ripetuti e sistematici che integrino una sequenza di vessazioni e di comportamenti lesivi preordinati ad emarginare e ad espellere il ricorrente dall’ambiente lavorativo (mobbing)” e “che ricorra la giustificatezza, intesa come motivazione del licenziamento idonea a giustificare il recesso datoriale nell’ambito di un rapporto di lavoro connotato dal carattere estremamente fiduciario dell’incarico: il comportamento tenuto dal ricorrente è stato certamente in contrasto con le direttive datoriali e rilevante in termini di turbamento del vincolo fiduciario...”.
E bisogna allora di nuovo tornare all’inizio: ai titoli cubitali anti-Castellitto accusato. Per arrivare a oggi: zero titoli cubitali sul Castellitto scagionato. Ed è stato di fronte a questo deserto che Mario Sesti, giornalista, critico cinematografico ed ex responsabile della Comunicazione al Csc, ha scritto per Huffington Post un articolo in cui riflette sul come oggi i media raccontino senza raccontare, sparando parole in modo da erigere la baracca sensazionalistica. Ancora partendo dall’inizio, e cioè dall’estate del 2024, e dai giorni del grande rogo alla Cineteca nazionale, con pellicole preziose andate in fumo, c’è il deputato di Avs Marco Grimaldi che solleva dubbi sulla trasparenza nella comunicazione dei danni da parte del Centro. Da lì, si concentra sui conti e sul personale. Divampa la campagna sui media, tra “shit storm” sui social e interrogazioni parlamentari. Castellitto scrive una lettera al Corriere della Sera. Non cambia nulla. La questione del licenziamento per giusta causa di Iachetti, per il sostegno dato, senza autorizzazione dei dirigenti, a 17 collaboratori a cui non era stato rinnovato il contratto, finisce in tribunale, ma l’opinione pubblica ha già scritto la sentenza. Di contorno, ma con la grancassa, parte la polemica sulle “mani della destra sul cinema” (cos’è di destra e cosa di sinistra? si chiederà poi amaramente, parafrasando Giorgio Gaber, Castellitto su questo giornale). E si arriva a oggi, alla sentenza del giudice, non amplificata da nessuno dopo l’esplosione di quella che Sesti definisce “rage bait”, l’espressione che l’Oxford University Press ha scelto, non a caso, come parola dell’anno: “Contenuto online deliberatamente progettato per suscitare rabbia o indignazione attraverso la frustrazione, la provocazione o l’offesa”.
Castellitto dice: “Tanta acqua è passata, ormai, rispetto a quell’anno difficile”. Difficile per lui e per la sua famiglia: “Assistevamo senza poter fare nulla al processo di costruzione della notizia infamante, processo a tratti delinquenziale”. In pochi, allora, dice, lo chiamavano per chiedere che cosa pensasse e quale fosse la sua versione dei fatti. Tutto alle spalle? Sì, ma. Eccolo, il “ma”. “La mia vita è ricominciata, com’è giusto che sia”, dice Castellitto. “Ma mi piacerebbe molto, per motivi non tanto riparatori quanto etici, che la sentenza del giudice o almeno l’articolo di Sesti venissero ripresi sul sito del Csc, un’istituzione pubblica dove ancora ci sono persone perbene. Ecco, vorrei che si facesse il gesto. Ma non so se accadrà”.