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La sorella d'Italia

Arianna Meloni racconta Atreju: inviti, rifiuti e timidezze

Salvatore Merlo

Le telefonate insieme a Giovanni Donzelli per radunare gli ospiti e i ricordi delle prime edizioni: "Eravamo ragazzi ma ci confrontavamo con premier e ministri". Il rifiuto di Schlein? "Ha sbagliato: lei e Conte avrebbero potuto coalizzarsi contro mia sorella"

Nessuno ha detto di no, ma c’è chi era impegnato. “Purtroppo Maria De Filippi non poteva venire, ma la capisco perfettamente: sta registrando ‘C’è Posta per te’”. Che un po’ forse è il format anche di Atreju. E infatti lì, come dalla De Filippi, si incontrano tutti. E ci sono tutti. Mara Venier e Giuseppe Conte, Carlo Conti e Matteo Renzi, Gianluigi Buffon e Angelo Bonelli, Abu Mazen e il cardinal Matteo Maria Zuppi. “Un bellissimo segnale da parte della Cei”, dice. Arianna Meloni non ha un seggio in Parlamento, ma ha un centralino in testa. Ha passato settimane insieme a Giovanni Donzelli a contare gli ospiti per la festa nazionale di Fratelli d’Italia che comincia oggi a Castel Sant’Angelo a Roma, si segnava i numeri, mandava messaggini: “Scusi, posso disturbare?”. E partiva la telefonata a Raoul Bova (“l’avevo invitato per parlare d’altro, ma lui mi ha detto di voler parlare di quello che gli è successo con i suoi audio privati diffusi su internet”), alla figlia di Peppe Vessicchio (“abbiamo avuto una bellissima conversazione telefonica, suo padre Peppe è stato un grande Maestro e tutti gli italiani lo hanno amato”), a Sabino Cassese (“che ha accettato volentieri”). E Nicola Fratoianni invece? Lui non viene. “Credo l’abbia chiamato Giovanni Donzelli”. E come si è giustificato Fratoianni? “Non lo so, se vuole chiedo a Donzelli che è qua nella stanza accanto”. Ed Elly Schlein ha sbagliato a declinare come Fratoianni? “Penso di sì. Conte ha accettato un confronto a tre con Giorgia. Lui e Schlein avrebbero anche potuto coalizzarsi contro mia sorella, darsi forza l’uno con l’altra”. Forse il problema era proprio questo. “Dice che non si sarebbero coalizzati?”. Non so, secondo lei? “E’ stata un’occasione persa”. Ma lei, Arianna, ci andrebbe alla festa dell’Unità, se la invitassero? “Sono timida. Non vado neanche in tv. Ci penserei, ma per rispondere davvero a questa domanda bisogna che la condizione si avveri: se mi invitano vediamo, magari mi viene voglia di andare”. E qui Meloni sorella si mette a ridere. Non finge sicurezza, non recita la parte della spavalda. Anzi: è forse una delle pochissime persone in Italia che sta accanto al presidente del Consiglio e che continuamente si pone il problema di non mettere Giorgia in difficoltà, straparlando. “Ci mancherebbe solo questo”. E cos’altro teme? “Il perdere il contatto con la realtà, l’adagiarsi sugli allori. Bisogna mantenere umiltà e piedi piantati a terra. Lo ripeto sempre a tutti”. Come si fa? “Continuo a frequentare gli stessi amici di sempre e al netto del tanto lavoro la mia vita è rimasta identica. Faccio cose normali. Ieri sono andata ai colloqui con i professori di mia figlia a scuola. E sono contenta perché dicono che è brava. Guardo Giorgia e penso che dovremmo essere come lei”. Cioè come? “Tanta concentrazione, tanto studio e una inesauribile resistenza fisica”.

 

Per Atreju 2025, la festa che da trent’anni è il rito della destra italiana, il primo partito d’Italia ha messo insieme “441 relatori, 77 giornalisti, 24 direttori”. L’alto e il pop, la destra e la sinistra. Ma è vero che ora tutti dicono di essere di Fratelli d’Italia? “Oggi scopriamo che sono passati tutti almeno una volta dal Fronte della Gioventù. Fa un po’ sorridere, ma più che altro ti inorgoglisce perché girando per le strade senti tanto affetto verso il lavoro di Giorgia ed è un affetto sincero”. Arianna Meloni rivendica la sola cosa che per lei fa davvero la differenza: il confronto. Non come scelta estetica, ma come metodo politico. “Noi abbiamo sempre invitato tutti”, dice. “Trent’anni fa eravamo ragazzi qui ad Atreju, eppure ci confrontavamo con presidenti del Consiglio, ministri, colossi della politica. Tante persone che non la pensavano come noi e che spesso la pensavano in maniera diametralmente opposta. Non ci siamo mai sottratti e forse è per questo che le nostre proposte sono buone proposte”.

Ed è qui che riemergono i ricordi delle primissime edizioni di Atreju. “Trascorrevamo quasi tutto agosto a cercare di convincere gli ospiti a intervenire, durante la kermesse passavamo da moderare i dibattiti a fare le nottate per controllare che non ci rubassero le sedie, si passava dal dipingere i pannelli a intervenire nei caffè letterari. Una volta ho anche guidato il furgone per portare il materiale elettrico”. Atreju nasce così: nella convinzione che uno spazio si tiene vivo soltanto se lo si riempie di punti di vista diversi. “Divergenza totale ma nel rispetto del rito democratico”. “Abbiamo invitato Giuseppe Conte quando era presidente del Consiglio. Abbiamo invitato Matteo Renzi, Mario Draghi”, dice. E anche i segretari sindacali di tutte le sigle. “L’anno scorso abbiamo chiamato Landini ma non è venuto”. La lista è lunga. “Quest’anno sul palco ci sarà un confronto tra Francesco Rutelli e Gianfranco Fini, i due sfidanti delle prime elezioni dirette per il sindaco di Roma. Sarà davvero interessante ascoltarli nuovamente trent’anni dopo. Sempre all’insegna del dialogo”. E ci torneremo.

 

Ma perché questo metodo non funziona in Parlamento? “Il dibattito non è sereno, e non lo scopro io. Secondo me sarebbe auspicabile un maggiore confronto, anche in Parlamento”. Sulla legge elettorale? “Sarebbe importante”. Qui torna allora la domanda su Schlein. Non è solo un episodio di cronaca: Meloni sorella lo vede come un indicatore costituzionale, diciamo così. “Questo te la dice lunga sulla legge elettorale, sul premierato, su tutto quello che è giusto fare per l’Italia”, dice. “Perché se i leader dell’opposizione non riescono a confrontarsi tra loro e presentarsi come una coalizione neanche dentro una manifestazione come Atreju, figuriamoci quando si presentano agli elettori. Credo che l’astensionismo elettorale nasca anche così, dalla mancanza di un progetto politico chiaro e definito. Troppe volte gli elettori hanno assistito a governi figli di inciuci di palazzo, nati con la giustificazione di un presunto interesse nazionale che si è rivelato non essere l’interesse degli italiani, men che meno dell’Italia”.

Da qui la sua teoria: il confronto è ciò che restituisce coerenza al sistema. Anche se non è un equilibrio facile. Nemmeno da praticare. “La politica è trovare il punto d’incontro per permettere a tutti di esprimere il proprio potenziale, senza lasciare indietro nessuno”, dice. Senza quello, la democrazia si svuota. A proposito di dialogo: Atreju sarà aperta da Roberto Gualtieri, il sindaco di Roma del Pd. Lo ricandidiamo? “Semmai lo ricandideranno loro”, risponde Arianna ridendo. “Roma ha avuto la fortuna di avere un governo che l’ha sostenuta mediante una serie di interventi che stanno sanando i disastri fatti dalle amministrazioni di sinistra. Noi in campagna elettorale ricorderemo a Gualtieri tutte le cose che ha sbagliato, starà ai romani scegliere”. E stavolta il candidato di destra lo trovate in tempo? “Arriveremo preparati e con un candidato forte”. Spesso arrivate in ritardo e perdete. “Abbiamo anche vinto molto, anche nell’ultima tornata di elezioni regionali”.

 

E se il dialogo è la condizione, la riforma della giustizia – la separazione delle carriere – è il terreno su cui misurarla. Arianna Meloni lo dice con una calma che non è fatalismo ma convinzione: la qualità democratica passa da qui. Ed è per questo che il caso Antonio Di Pietro, quest’anno, ha forse colpito più dell’annuncio di qualsiasi ministro. L’ex pm di Mani Pulite sarà ospite di Atreju. Ed è uno dei grandi sponsor del sì al referendum. “Io credo che adattare il proprio pensiero ai tempi sia segno di intelligenza. Probabilmente si è reso conto che su certe cose, negli anni, era stato un po’ troppo rigido”.

 

Poi aggiunge una frase che ha il tono delle cose che si dicono pensando ad altro: “Secondo me ci sono parecchi Di Pietro che la pensano come lui, ma non lo dicono”. Ma forse la fotografia più nitida di Atreju 2025 è quella che si vedrà l’8 dicembre quando saliranno sul palco Francesco Rutelli e Gianfranco Fini. I due del ’93: l’epoca in cui la destra di governo era ancora un’ipotesi, un’aspirazione, qualcosa che sul serio pareva impossibile perfino da pronunciare. Ma proprio per questo possibile da sognare. Arianna Meloni lo dice senza dirlo: quella sfida fu la nascita di un’illusione collettiva, la prima crepa nel destino collaudato che voleva Roma – e l’Italia – consegnate per sempre a un solo campo. “Il confronto Fini–Rutelli era esattamente quello: il momento in cui l’impossibile cominciò a prendere forma, non nella vittoria, ma nella possibilità di provarci”. E’ la prova che oggi una comunità politica è arrivata dove all’inizio poteva solo immaginare di arrivare. Per questo Meloni sorella insiste sul confronto: perché tutto, allora come oggi, comincia da lì. Da due avversari sullo stesso palco, quando nessuno avrebbe scommesso che un giorno la destra avrebbe vinto davver

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.