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dopo il voto

In Veneto vince il modello Zaia, Salvini perde. Idee per i prossimi due anni in Lombardia

Maurizio Crippa

Il trionfo personale del governatore veneto riapre i giochi interni: il leader del Carroccio perde presa sul territorio e prende corpo l’idea di una Lega “alla Csu”, più autonoma e nordista, pronta a rimettere in discussione i patti con Meloni

Forse ha ragione chi, facendo i conti un po’ della serva, un po’ delle milizie in campo, spiega che Salvini è uscito bene, anzi vincitore in Veneto da una doppia partita pericolosa: sul fronte interno (alleati) e interno-interno (Lega). In verità in Veneto FdI ha preso 312 mila voti, 116 mila in più che alle passate regionali e la Lega 600 mila, praticamente dimezzando i suoi. In Campania ha preso 22 mila voti, da 110 mila del 2020, e in Puglia ne ha persi 53 mila su 106 mila, la metà. Ma, come pensano da sempre i leghisti veri, che i voti del sud non li hanno mai apprezzati, i soli che contano sono in Veneto. E qui, nonostante il salasso, Fratelli d’Italia resta ancora a metà strada dal Carroccio.

Qualcuno potrà dire insomma che dove conta per la Lega, Salvini vince. Ma il dato politico reale è che la Lega vince (o tiene) là dove Salvini si toglie di torno. L’ex doge Luca Zaia, cui Salvini ha messo tra le ruote qualsiasi bastone gli capitasse sotto mano, a partire dal no alla “lista Zaia” che avrebbe profumato di referendum autonomista verso Via Bellerio, ha ottenuto duecentomila preferenze. Un trionfo personale che comunque si prospetterà il futuro, qualsiasi scelta Zaia vorrà fare – o gli sarà permesso di fare – dimostra che in Veneto la Lega è partito di stabilità, autonomia e governo; e che in Veneto la Lega è lui, non Salvini. Né tantomeno Vannacci. Intervistato dal Corriere, il vecchio saggio dei tempi del Bossi, Roberto Calderoli, a domanda specifica sull’oscuramento di Vannacci durante la campagna elettorale ha masticato un mozzicone di risposta e ha sputato: “In Veneto è venuto”. Una pietra tombale.

E’ scontato che la leadership di Matteo Salvini nella Lega rimanga salda, attraverso i suoi fedelissimi nel partito e a Roma, ma soprattutto perché alle elezioni politiche, l’unico esame in grado, e a buon diritto, di decidere la sorte di un segretario di partito mancano due anni; e alle regionali in Lombardia, le “vere” elezioni che contano per la Lega, ne mancano due e mezzo. Un tempo infinito. Ma nonostante la stabilità, quieta non movere, il segnale che giunge dal Veneto è chiaro. Il patto o presunto patto tra Salvini e Giorgia Meloni per spartirsi le regioni del nord, Veneto alla Lega ma cambio di direzione al Pirellone, dove Attilio Fontana non è ricandidabile, non è mai stato digerito in Lombardia e verrà messo in discussione. E’ stato lo stesso Salvini a provare un “parola torna indietro”, giusto per vedere l’effetto: “Mancano due anni, chi vivrà vedrà. La Lega in Lombardia può raggiungere lo stesso risultato del Veneto”. Mentre il suo uomo di riferimento nella regione, Massimiliano Romeo, che era stato tra i primi a dire che nessun patto era stato siglato, dopo il voto del Veneto ha ribadito: “Queste elezioni confermano che le regionali sono tutta un’altra partita. E al nord c’è la Lega”. Chi conosce l’elettorato leghista e la Lombardia (i territori-bacini elettorali fuori dalle grandi città) sa che il voto alle regionali può essere molto diverso da quello per le politiche nazionali.

Ma ciò che può cambiare le regole del gioco nei prossimi due anni non è tanto, o solo, l’improvviso ritorno di fiducia nella tenuta della Lega alle urne. Può essere invece una maggiore consapevolezza – o coraggio di esplicitarla da parte del partito e dei suoi leader lombardi e nazionali – che appunto il modello Salvini non vince più, il calo dei consensi è evidente, mentre tiene la visione territoriale tradizionale, quella di Zaia, appunto. Quella basata su una buona amministrazione solida, sulla rappresentanza dei territori, su un legame storico, politico ed economico – che la Lega non ha mai messo in discussione – con l’Europa. Basta inutili campagne aleatorie, e bagni di sangue elettorali reali, lontani dal nord. L’incoronazione simbolica di Zaia potrebbe aprire seriamente la porta alla discussione, per ora un ballon d’essai, sul “modello Csu”, la proposta di Zaia di riorganizzare la Lega imitando il dualismo tedesco tra la Cdu nazionale e il partito bavarese, per rafforzare l’identità territoriale e giocare con le mani libere a livello nazionale. Tornare sul territorio di competenza potrebbe aprire anche nuove partite, oltre al rilancio della benedetta autonomia differenziata (i primi piccoli passi sulle materie minori sono iniziati) persino per innovazioni legislative cui anche altri partiti, vedi il Pd, potrebbero essere sensibili: dalle pagine del Corriere è partita la proposta di una legge speciale per Milano (ricadute lombarde evidenti), a cui hanno subito aderito il senatore leghista Romeo, la deputata Pd Silvia Roggiani, l’ex sindaco di Brescia Emilio Del Bono e da ultimo Beppe Sala. Un possibile terreno fertile in un’ottica nordista ma non “sovranista”, che potrebbe ridare peso politico alla Lega anche nella competizione con FdI. Due anni sono lunghi, soprattutto se Salvini si sgonfia.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"