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Si estrae la storia

Meloni e le correzioni. Al piano Trump risponde con i suoi “4 punti”

Carmelo Caruso

La premier teme che i volenterosi escludano l’Italia ed “emenda”. I punti del piano più insidiosi sono due: la questione territoriale e i limiti alla sovranità ucraina. E telefona al presidente americano ricordando il ruolo italiano. Tajani invece intercede con Rubio. L’Italia pretende chiarezza

Sono le “correzioni” di Meloni e Tajani. L’Italia prova a prendersi un pezzo di pace. La figura centrale è Marco Rubio, il segretario di stato, il sobrio di Trump. C’è già un nuovo piano per l’Ucraina: è di 19 punti ed è stato redatto da America e Ucraina. Meloni lo anticipa: “Il presidente Trump è aperto a modifiche”. Lo dice ai leader Ue, riuniti a Luanda, in Angola, mentre a Roma, il presidente del Senato, Ignazio La Russa fa sbandare il governo su Garofani. Ne chiede (ancora) le dimissioni, poi fa retromarcia (si parla di telefonate di Fazzolari e della stessa premier a La Russa). Il Quirinale tace ed è “gelido silenzio”, FdI dice: “E’ una larussata”. I punti del piano più insidiosi per Meloni sono due: la questione territoriale e i limiti alla sovranità ucraina. L’Italia pretende chiarezza. Al punto 1, del piano, la rappresentanza al tavolo negoziale, si dice genericamente “Europa”. L’Italia teme di essere esclusa. La pace misura la forza di Meloni.

 

Cosa si intende per “Europa” nel piano Trump? E’ il formato E3 (Germania, Francia e Gran Bretagna) o l’Europa, compresa la Turchia? Meloni telefona a Trump, ricorda il ruolo italiano. Tajani intercede con Rubio e ci parla in spagnolo. In quella dicitura “Europa” c’è chi precisa: “Anche Polonia e Finlandia, desiderano avere un futuro ruolo”. L’altra questione che interroga il governo italiano riguarda il ruolo dell’Europa nei negoziati. Il termine che viene usato dagli stati membri è “player not payer” ma nel piano Trump, l’iniziale, la Ue, è chiamata a pagare non solo attraverso contributi ma anche dando accesso ai suoi mercati. Scompaginerebbe l’architettura Ue. Sono tutte insidie che Meloni e Tajani provano a sminare. Un’altra mina è la parola “di fatto”. Il riconoscimento “di fatto” dei territori è un tema che deve essere, dicono a Palazzo Chigi, “vigilato, per evitare stravolgimenti”. Una mina ancora è la composizione delle forze armate ucraine. Qual è il numero accettabile? E può essere la Russia a dettarlo? Il numero fissato per l’Ucraina dovrebbe essere di seicentomila unità (le forze armate tedesche sono intorno alle 200 mila e quelle francesi 250 mila) ma c’è da risolvere anche come viene sostenuto, finanziariamente, l’esercito ucraino. Sono incognite come lo è, sul profilo militare, il posizionamento di aerei europei in Polonia.

 

Nel piano iniziale Trump si fa riferimento all’America in qualità di “mediatore” nel dialogo fra Nato e Russia, ma chi garantisce l’impegno concreto dell’America, di questa America? Si sta lottando per emendare un testo che anche per Meloni impone all’Ucraina condizioni economiche insostenibili sia da parte della Russia (elezioni ucraine entro 100 giorni) sia dalla parte dell’America (accesso ai minerali rari). Il contropiano di Meloni è snello ed è di “quattro punti. Il primo: ogni impegno militare deve essere preso in un quadro euro-atlantico evitando coalizioni di volenterosi. Secondo: depotenziare gli effetti negativi del piano e sulle questioni territoriali – sul modello di quanto avvenuto in Germania nel 1955 – evitare di imporre all’Ucraina riconoscimenti giuridici della situazione sul terreno. Terzo: evitare conclusioni che mettano in pericolo la sovranità e l’esistenza dell’Ucraina. Quarto: evitare che la Ue prenda impegni che ne stravolgano le regole interne e metterne in pericolo la stabilità politica, economia e finanziaria. I numeri della pace: 28 punti di Trump, 19 quelli mediati con l’Ucraina, 4 i punti di Meloni. Si estrae la storia.

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio