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L'analisi

La lezione della Valle d'Aosta sul presidenzialismo regionale

Giovanni Boggero

La tesi secondo cui i presidenti di regione avrebbero troppo potere è fallace. Sia perché non è mai esistita un'età dell'oro del parlamentarismo regionale, sia perché gli unici due sistemi a investitura consiliare ci insegnano che la tendenza alla personalizzazione del potere resta comunque elevata

Nel dibattito “umorale” sul regionalismo italiano si diffonde da qualche tempo un nuovo refrain: i presidenti di regione, “uomini soli al comando”, sono troppo potenti e hanno esautorato consigli e giunte. Il peccato originale? L’elezione a suffragio universale e diretto dei presidenti, in carica cinque anni grazie a premi di maggioranza ritagliati sul candidato vincente e al principio che lega in maniera indissolubile la sorte di Consiglio e giunta (simul stabunt, simul cadent). Per rimediare alle “nefaste conseguenze” di queste innovazioni introdotte tra 1995 e 1999, i più accaniti sostenitori di un parlamentarismo esasperato invocano il ritorno all’investitura mediata dai consigli regionali. La tesi, accattivante e pop, è fallace per almeno due ragioni.

 

1) Non esiste alcuna età dell’oro del parlamentarismo regionale. La riforma degli anni Novanta – il cd. Tatarellum e soprattutto la l. cost. 1/1999 – fu approvata perché i consigli, complici l’elevata frammentazione politica causata da un sistema elettorale proporzionale e le frequenti crisi di governo che ne seguivano (tutte comunque senza voti di sfiducia!), erano ormai emarginati dall’elaborazione delle politiche pubbliche. Le giunte e i presidenti avevano acquisito potere un po’ in via di fatto attraverso l’interlocuzione diretta con il governo nell’epoca del “primo e secondo decentramento” (si pensi all’istituzione della Conferenza stato-regioni) e un po’ per la fluidità della ripartizione dei poteri prevista dagli Statuti.

 

2) Questo stato di cose è confermato ancora oggi dagli unici due sistemi a investitura consiliare di presidente e giunta: la Valle d’Aosta e la Provincia di Bolzano. In entrambi i casi, a prescindere dalla forma di governo parlamentare, la tendenza alla verticalizzazione e alla personalizzazione del potere nel presidente è elevata e si spiega, innanzitutto, a partire dalle attribuzioni che statuti, regolamenti consiliari e leggi prevedono in capo al presidente e alla sua giunta (dai poteri di nomina, alle funzioni prefettizie ai poteri di ordinanza ecc.), oltreché per ragioni meta-giuridiche che non riguardano tanto la crisi della capacità di intermediazione dei partiti (Union Valdôtaine e Südtiroler Volkspartei sono molto radicati), ma la crisi della rappresentanza politica e la subordinazione della legislazione regionale all’amministrazione.

 

Non stupisce, quindi, che in base agli ultimi due Rapporti sullo stato della legislazione realizzati dalla Camera dei deputati, Valle d’Aosta e Bolzano siano gli enti territoriali in cui l’iniziativa legislativa è esercitata nella stragrande maggioranza dei casi dalla giunta e non dal consiglio, come sarebbe, invece, portato a immaginare chi idealizza il “figurino” della forma di governo parlamentare. Il rischio di un ritorno al passato, ossia alla l. 108/1968 pre-riforma del Titolo V, è l’eterogenesi dei fini: presidente e giunta manterrebbero con ogni probabilità un potere preminente, il consiglio, in posizione subordinata, si limiterebbe a essere il teatro degli “accrocchi” per fare e (sfiducia costruttiva permettendo) disfare le maggioranze. In tutto questo, a perdere sarebbero solo gli elettori, non tanto e non solo per il seme di instabilità che sarebbe gettato nel sistema, quanto piuttosto per l’annullamento della loro capacità di decidere con il voto chi governerà la regione.

 

Ne è un esempio quanto avvenuto nelle scorse settimane in Valle d’Aosta. L’Union Valdôtaine (Uv) ha ottenuto 13 seggi su 35 dopo una campagna elettorale serrata contro il centrodestra unito (11 seggi); tre forze autonomiste centriste, unite in un cartello elettorale, hanno ottenuto 6 seggi preziosi, mentre il Pd e Avs, che hanno corso separati, ne hanno ricevuti, rispettivamente, 3 e 2. L’Uv ha intavolato trattative con tutte le forze politiche, innanzitutto con i centristi e ha dato speranza al Pd (parte della maggioranza nella legislatura uscente) poi ha virato improvvisamente sulla sola Forza Italia e ha spaccato il fronte centrista. Risultato: in Consiglio Valle, dopo appena un mese, sono già nati due nuovi (mono)gruppi consiliari e la maggioranza formatasi in queste ore prescinde totalmente dalla volontà popolare, essendo la risultante di Uv, Forza Italia e cinque consiglieri centristi su sei. A denunciare questo stato di cose non ci sono soltanto Lega e FdI, come era logico attendersi, ma anche Avs, che ha pubblicato un comunicato molto duro contro una legge elettorale che favorisce “inciuci” alle spalle degli elettori. Come ci insegna la Vallée, il passatismo consociativo non salverà la democrazia regionale.

 

Giovanni Boggero, Università di Torino

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