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verso il voto

Elly a Mestre, per una campagna veneta triste solitaria y final

Francesco Gottardi

La chiusura della campagna elettorale del Pd in veneto è in salita. Nonostante la segretaria dica dal palco che “una coalizione così grande non eravamo mai riusciti a farla”, il centrosinistra non riempie la piazza. Non si arrende il candidato dem Giovanni Manildo: "L'era Zaia è finita"

Venezia. Opposizione a oltranza. La campagna elettorale del centrosinistra in Veneto si chiude sulle note della venetissima “Je so’ pazzo” (d’altronde, oggi Schlein sarà in Campania da Fico: il Pd si porta avanti). Si fa aspettare, Elly. Poi dice dal palco: “Una coalizione così grande non eravamo mai riusciti a farla”. Hasta il campo largo siempre. “Qui la sfida politica si è articolata per i cittadini e non contro gli avversari, che sono arrivati tardi. Realizzandosi attraverso una candidatura scelta da voi, anziché dalle stanze romane in base a come soffiava il vento”, ogni riferimento all'annosa diatriba fra Lega e FdI per il dopo Zaia è assolutamente voluto. “Noi vi abbiamo semplicemente accompagnato convinti in questo percorso, per creare insieme un futuro nuovo per questa regione”.
E veniamo al candidato, appunto: Giovanni Manildo, l’ex sindaco di Treviso chiamato a un’impresa colossale. “Siamo agli sgoccioli di un sistema, l'era Zaia è finita”, arringa il pubblico, che lo accoglie con un applausino. “Siamo pronti a sorprendere il Veneto con un grandissimo risultato. Troppo a lungo abbiamo assistito a un racconto autoreferenziale di questa regione: ci sono invece fragilità e bisogni non accolti. Abbiamo l’occasione di cambiare davvero le cose”. Ci mette anima e corpo, Manildo. Va riconosciuto. Entusiasta, gentile, generoso. Attento ascoltatore delle diverse sensibilità sul territorio (basterà? Difficile, ma l’importante è crederci). “Oggi Elly Schlein ci ha ridato l’orgoglio di essere comunità, riportando al centro le questioni che interessano ai cittadini”.

 


La segretaria del Pd ringrazia, ricambia l’elogio, fissa le priorità fondamentali dell'agenda di governo per un altro Veneto: “Sanità e scuola pubblica, assistenza sociale, lavoro dignitoso, diritto a restare dei tanti giovani costretti invece a partire”. Poi l’unico vero momento che riscalda una fredda serata di novembre: “Basta retorica sul leghista buono e sul leghista cattivo. Sono tutti uguali. E Salvini gli unici soldi pubblici li ha voluti buttare per il Ponte sullo stretto”.
È l’altro Veneto anche nelle modalità. Se martedì la chiusura di Stefani è stata maestosa, in pompa magna, a Mestre il centrosinistra non è riuscito nemmeno a strappare la sede. Doveva essere in Piazza Ferretto, la più grande della terraferma veneziana. Ma i vertici del Pd hanno accusato il comune per aver accolto e poi negato il permesso per svolgere il comizio laddove avrebbe dovuto parlare anche Meloni, che poi ha ripiegato sul teatro Geox di Padova. “Una decisione politica, un fatto gravissimo”, dice il segretario regionale Martella. Colpa degli addobbi di Natale, la congiura dei mercatini. Com’è o come non è, si ripiega allora sulla piazzetta adiacente, che alla fine non si riempie nemmeno. Sguardi bassi fra i militanti: “In bocca al lupo, speriamo... che almeno qualcuno dei nostri vada bene”. Vincere resta una parola tabù. Playlist a parte, versi sonori in ordine sparso: “Tutto cambierà. Ogni favola è un gioco. E’ la sera dei miracoli”. Al Pd ne servirà uno bello grosso.