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Elezioni regionali in Veneto: cosa c'è da sapere sulla sfida tra Stefani e Manildo

Redazione

Come sono cambiati i rapporti di forza tra FdI e Lega rispetto al 2020? Quanto peso potrà avere un outsider come Riccardo Szumski? E quante preferenze potrà raccogliere Zaia? Le tre cose da tenere d'occhio nella sfida elettorale veneta

Domenica 23 e lunedì 24 novembre si tengono le elezioni regionali in Veneto per eleggere il nuovo presidente e per il rinnovo del Consiglio regionale. Negli stessi giorni andranno al voto anche Puglia e Campania, in questo modo si chiuderà l'autunno elettorale dopo le vittorie di Eugenio Giani in Toscana, Roberto Occhiuto in Calabria e Francesco Acquaroli nelle Marche, e il trionfo dell'Union Valdôtaine in Valle d'Aosta che ha portato alla riconferma di Renzo Testolin come presidente della regione. I seggi saranno aperti domenica dalle 7 alle 23 e lunedì dalle 7 alle 15.

 

Chi è Alberto Stefani, candidato del centrodestra alle elezioni regionali in Veneto

Il candidato per il centrodestra è Alberto Stefani. Il deputato e vicesegretario federale della Lega è sostenuto nella sua corsa per il dopo Zaia da Fratelli d'Italia, Lega, Forza Italia, Noi moderati-Civici per Stefani e l'Udc. Stefani Inizia a fare politica fin da ragazzo: si è iscritto al Carroccio all'età di 15 di anni ed è diventato coordinatore provinciale di Padova del movimento giovanile del partito e poi coordinatore regionale del movimento universitario. A vent'anni viene eletto assessore comunale di Borgoricco, in provincia di Padova e, dopo la laurea in Giurisprudenza, si candida alle elezioni politiche del 2018: a soli venticinque anni viene eletto in parlamento diventando così il deputato più giovane della storia della Lega. L'anno successivo è diventato anche sindaco di Borgoricco, carica per la quale ha deciso di non percepire l'indennità di ruolo. Nel 2022 è stato riconfermato deputato e nel 2023 è stato eletto segretario per la Liga Veneta e presidente della Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale. Tra le altre iniziative, ha fondato “Veneto domani”, prima scuola di formazione politica della Liga, con la quale promuove il dibattito su questioni storicamente vicine al movimento leghista. Nel 2024 è stato nominato vicesegretario federale, insieme a Claudio Durigon.

 

 

Chi è Giovanni Manildo, candidato del centrosinistra alle elezioni regionali in Veneto

L'avvocato civilista Giovanni Manildo è il candidato per il centrosinistra. L'esponente dem è sostenuto da una coalizione composta dal campo larghissimo: Partito democratico, Movimento 5 Stelle, Alleanza Verdi-Sinistra, Volt Italia, Uniti per Manildo (formazione che federa Azione, Italia Viva, +Europa, Partito socialista italiano, Movimento socialista liberale) e le civiche "Il Veneto che vogliamo" e "Rete delle civiche progressiste". Iscritto al Pd dal 2008, Manildo viene eletto consigliere comunale e vicepresidente del Consiglio comunale a Treviso, dove ha ricoperto la carica di sindaco dal 2013 al 2018. Alle elezioni successive però ha perso contro l'esponente della Lega Mario Conte, l'uomo su cui Zaia avrebbe voluto puntare, al posto di Stefani, come suo successore.

 

 

Chi sono gli altri candidati

Tra gli outsider ci sono anche nomi di un certo peso, come quello del coordinatore nazionale di Democrazia sovrana e popolare Marco Rizzo. Dopo lo scioglimento del Partito comunista italiano, in cui militava sin dal 1981, Rizzo è stato tra i fondatori di Rifondazione comunista e poi del Partito dei Comunisti Italiani, di cui è stato coordinatore della segreteria nazionale. Per dieci anni, dal 1994 al 2004, è stato deputato, prima con Rifondazione, poi con il PdCI e poi nel gruppo misto. Nel 2004 è stato eletto europarlamentare fino al 2009 con La Sinistra. Dopo la parentesi a Bruxelles, ha fondato il Partito comunista di cui è stato segretario generale fino al 2023 e poi presidente onorario fino al 2024, anno in cui il partito è confluito nella Democrazia sovrana e popolare.

 

Poi c'è Fabio Bui, la cui candidatura in un primo momento era stata respinta dalla Corte d'appello di Venezia perché non aveva presentato il documento di nomina dei rappresentanti di lista. Ma, dopo aver vinto il ricorso, Bui è stato ammesso alla corsa elettorale. L'ex sindaco di Loreggia (provincia di Padova), città in cui ha ricoperto la carica di primo cittadino per due mandati dal 2012 al 2022, è il candidato per la lista civica Popolari per il Veneto. Nel 2018 è stato eletto presidente della Provincia di Padova.

 

Riccardo Szumski invece si è candidato con la lista Resistere Veneto per diventare, come sostiene lui, il rappresentante di "chi non si sente più rappresentato". Szumski è stato sindaco di Santa Lucia di Piave, un piccolo paese in provincia di Treviso dal 1994 al 2002 e poi dal 2012 al 2022. Ha un passato da leghista sì, ma da leghista della Liga Veneta: è vicino ai movimenti territoriali del trevigiano, l'indipendentismo duro e puro, quello accantonato dai vari segretari federali. E' stato radiato dall'albo dei medici nel 2021 per il rilascio di “certificati di esenzione dalla vaccinazione a pazienti” e per aver effettuato “cure domiciliari, non previste in alcun protocollo anti Covid”. Nei mesi della pandemia infatti si disse contrario all’obbligo vaccinale e si convinse che il vaccino non fosse necessario. Attorno al candidato, si è raccolta quella parte del Veneto che sognava l’indipendenza, che si sentiva vessata da Roma e dal fisco, che da un lato voleva le fabbrichette, perché serviva lavorare, ma dall’altro già lottava, ben prima di Greta Thunberg, per la salvaguardia dell’ambiente.

 

 

Qual è la vera sfida nel centrodestra

Per il centrodestra la vittoria non è in discussione, ma a contare sarà sicuramente il come. Il Veneto è sempre stato una roccaforte leghista: alle ultime elezioni regionali, l'allora governatore uscente Luca Zaia ha vinto per la terza volta consecutiva riuscendo a ottenere il 76,79 per cento dei voti. Ad aprile, quando ancora non si sapeva la data del voto, l'entourage del Doge aveva già dato per scontato chi sarebbe stato il candidato per il centrodestra: "Il presidente l’abbiamo già e si chiama Luca Zaia”, ha detto Alberto Villanova, il capogruppo del governatore in Consiglio regionale. Dopo pochi giorni, una sentenza della Corte Costituzionale ha di fatto messo fine al sogno del governatore di ricandidarsi. In quel momento è cominciata la lotta interna tra Fratelli d'Italia e Lega per decidere chi sarebbe stato il successore del sindaco del Veneto. Dal momento che tutte le elezioni più recenti hanno sancito il sorpasso di FdI sul Carroccio, Meloni avrebbe voluto far correre il suo coordinatore regionale Luca De Carlo. Ma i leghisti veneti non avevano alcuna intenzione di lasciare ad altri il controllo della loro regione. Le forze di centrodestra hanno allora deciso di aspettare il risultato nelle Marche - la prima regione che sarebbe andata al voto quest'autunno - perché, era il ragionamento dei meloniani, se il governatore uscente Acquaroli, candidato di FdI, fosse stato riconfermato allora il Veneto sarebbe andato alla Lega.

 

 

Dopo le vittorie di Acquaroli nelle Marche e Occhiuto in Calabria, il valzer del centrodestra sulle candidature si è sbloccato: il viceministro degli Esteri di FdI Edmondo Cirielli avrebbe corso in Campania, Luigi Lobuono, manager ed ex presidente della Fiera del Levante, in Puglia e Alberto Stefani in Veneto, con la promessa che la Lombardia (oggi in mano alla Lega) nel 2028 sarebbe andata a FdI (anche se Salvini ha fatto subito sapere che “il candidato presidente in Lombardia non è legato al Veneto"). Però proprio la vicinanza a Salvini potrebbe far allontanare i leghisti che avrebbero votato per Zaia, anche perché l'ex governatore, dopo che il Carroccio gli ha negato sia il nome sul simbolo sia la possibilità di farsi una sua lista (che, secondo i sondaggi, si sarebbe attestata intorno al 40 per cento), si è candidato in tutte le province: "Se sono un problema, vedrò veramente di crearlo questo problema”.

 

A pochi giorni dalle elezioni regionali, poi, la Lega e il resto del centrodestra hanno battuto un colpo sull'Autonomia, che era rimasta impantanata sui veti della Corte costituzionale all'attuazione della riforma, in attesa della definizione di tutti i livelli essenziale di prestazione (i Lep). Il ministro per gli Affari regionali Roberto Calderoli ha infatti dettato l'agenda delle sottoscrizioni delle pre-intese con i governatori di Liguria, Lombardia, Piemonte e, appunto, Veneto. La firma serve, in realtà, per cominciare a definire su quali materie il governo e le regioni dovranno provare ad accordarsi.

 

Il campo largo e la sfida impossibile

Dopo aver provato a candidare la biologa Antonella Viola e il fisico autore di bestseller Carlo Rovelli, che hanno risposto con un secco "no", il centrosinistra ha scelto Giovanni Manildo come sfidante di Alberto Stefani. L'ex sindaco di Treviso, parlando con il Foglio, aveva detto che non bisogna guardare "i sondaggi perché mettono di cattivo umore" e che "la storia è fatta per essere cambiata. Siamo consapevoli di poter fare un buon risultato”. Il centrosinistra sa benissimo che la sfida che ha davanti è impossibile da vincere, ma schiera comunque un campo larghissimo: da Schlein a Conte, passando per Avs, Renzi e Calenda. "Una coalizione così grande non eravamo mai riuscita a farla" ha detto la segretaria del Pd Elly Schlein dal palco di Mestre per chiudere la campagna elettorale sulle note di "Je so' pazzo", ma tutti i leader dell'opposizione sanno che la vera sfida sarà in Campania. Gli stessi militanti veneti lasciano trapelare molto scetticismo: "In bocca al lupo - si sente dire - speriamo che almeno qualcuno dei nostri vada bene".

 

I risultati dei partiti alle ultime regionali ed europee

Nel 2020, alle ultime elezioni regionali in Veneto, dove Zaia ha trionfato con il 76,79 per cento dei voti, la Lega era di gran lunga il primo partito del centrodestra avendo ottenuto il 16,92 per cento, sopra a Fratelli d'Italia (9,55 per cento), e Forza Italia che si era fermata al 3,56. Però la lista che aveva ottenuto più preferenze è stata quella del Doge, Zaia presidente, con il 44,57 per cento. Il Partito democratico, che sosteneva Arturo Lorenzoni, aveva ottenuto l'11,92 per cento, mentre le altre liste del centrosinistra avevano totalizzato insieme il 3,8 per cento. Il Movimento 5 stelle correva da solo e ha preso il 2,69 per cento.


Quattro anni dopo, alle elezioni europee, i rapporti di forza sono cambiati: Fratelli d'Italia ha ottenuto quasi il triplo dei voti della Lega (37,6 per cento contro il 13,2) e il doppio di quelli del Partito democratico, fermo al 18,9 per cento. In totale il centrodestra aveva ottenuto il 59,4 per cento dei voti, con Forza Italia che aveva preso l'8,6 per cento, mentre il centrosinistra solo il 37,2 per cento, con Alleanza Verdi-Sinistra che aveva superato il Movimento 5 stelle (6,1 per cento contro il 4,9). Seguivano poi Azione con il 4,1 e Stati uniti d'Europa con il 3,2.