il ritratto

Francesco Saverio Garofani, dalla “balena bianca” al Quirinale con Mattarella

Francesco Palmieri

Romano, formato nella tradizione cattolica e nella scuola democristiana, giornalista e parlamentare del Pd. Chi lo conosce sa che sono due le sue passioni principali: la squadra della Roma e le battute taglienti. Chi è il consigliere del capo dello stato che secondo Giorgia Meloni ha usato "parole inopportune"

Chi lo conosce sa che due sono le passioni principali di Francesco Saverio Garofani: la squadra della Roma e le battute taglienti, quelle in cui l’arguzia insaporisce la perfidia. Chi lo conosce, pure, lo ritiene accorto e sobrio come l’eleganza inglese cui rimanda nel vestiario, perciò stupisce che si sia lasciato andare a quelle esternazioni, sebbene informali, assurte alle cronache come “il piano anti-Meloni”. È che a chiunque capita di scivolare, anche a chi come Garofani ha cominciato con i calzoni corti a praticare gli spinosi sentieri della politica e del giornalismo quando la Dc era la “balena bianca”.

Romano de Roma cresciuto fra Porta Maggiore e San Giovanni, frequentò l’Istituto Santa Maria, aperto nella Capitale sotto gli auspici del penultimo papa Leone per perpetuarvi i valori germinati un secolo prima tra le ghigliottine della Rivoluzione francese. Un giro all’indietro parlando di Garofani superfluo non è, perché il suo destino era scritto nel passato: il nonno paterno fu tra i fondatori del Partito Popolare nella Capitale e l’ispirazione cattolica era respirazione famigliare. Ciriaco De Mita, da segretario del partito, volle nel suo ufficio stampa quel ragazzo con la fiamma del giornalismo impegnato al contempo nella politica pura, che un domani lo avrebbe visto deputato del Pd per tre legislature. Ventiduenne, nell’84 si distinse nello storico congresso nazionale di Maiori del movimento giovanile della Democrazia cristiana.

Talvolta la fiamma del mestiere lo scaldò, talaltra lo scottò. Caporedattore del settimanale La Discussione, poi dal 1995 al 2003 direttore dell’organo di partito Il Popolo, dove fu apprezzato da Sergio Mattarella, assistette all’ascesa di Pierluigi Castagnetti alla segreteria del Ppi e al tramonto dello storico giornale. Schierato con Dario Franceschini, Garofani subì il turno degli sconfitti. Non saranno state poche le taglienti battute che avrà indirizzato al vincitore, ma nel tempo i rapporti con Castagnetti sono migliorati e quell’epoca è sbiadita nei ricordi. Una cosa Garofani fece, fosse per sentimento o per qualche futuro che non fu: mantenne in vita la testata Il Popolo curando che uscisse due volte l’anno. Intanto venne nominato vice direttore del quotidiano della Margherita, che si chiamava Europa: vi s’innestò con gli ex del Popolo, in accordo al suo cognome floreale, per garantire il profumo cattolico del giornale a trazione rutelliana. La Margherita appassì ma Garofani no: entrato nel 2006 a Montecitorio vi sarebbe rimasto fino al 2018.

Da studioso ha coltivato interesse per il caso Moro, testimoniato dalla pubblicazione di due libri con il recupero dei verbali dei consigli dei ministri di quei cinquantacinque giorni, come se la postuma coscienza di un partito estinto dovesse riparlare attraverso la voce di chi, all’epoca del rapimento e dell’esito ferale, aveva sedici anni. Garofani, classe 1962, ebbe per compagno di ricerca uno dei più cari amici, evocato anche nella fatal conversazione che ha scatenato l’attuale bufera: David Sassoli, il presidente dell’Europarlamento scomparso nel 2022.

Anche da segretario del Consiglio supremo di Difesa (il primo che non abbia indossato una uniforme) Garofani è rimasto fedele agli ideali giovanili sulla linea dossettiana, di un pacifismo non assolutista perché “senza i fucili i partigiani non avrebbero potuto combattere i nazisti”.

Forse qualcuno tra gli attempati quirinalisti, ossia i cultori dell’esoterica disciplina che racconta (e non racconta) le cose del Colle, potrà recuperare dalla memoria precedenti analoghi al “caso Garofani”. Qualche parola di troppo sulla trattativa stato-mafia espressa da Loris D’Ambrosio, il consigliere giuridico di Giorgio Napolitano; una sgradita considerazione dal sen fuggita al funzionario di lungo corso Salvatore Sechi su qualche legge elettorale. Come andò a finire ormai interessa poco. Più interessante è scommettere, così assicurano gli accorti esoteristi, che Mattarella tanto più difenderà l’uomo della Difesa quanto più lo attaccheranno.