FOTO Ansa
l'iintervista
Fabozzi (Il Manifesto): “Schlein? Una promessa non mantenuta”
Il direttore del Manifesto analizza la mancata capacità della leader dem di incidere e i problemi interni al partito e al campo largo: "è diventata un bersaglio continuo, però anche lei ci mette del suo prestando il fianco ai suoi avversari"
Venezia. Al centro si dice che è troppo di sinistra. A sinistra che è troppo di destra. Ma parafrasando Gaber, che cos’è oggi Elly Schlein? “Non è nemmeno tanto questione di ideologia”, puntualizza Andrea Fabozzi, direttore del Manifesto. “Siamo abituati a giudicare la politica in base ai nostri desideri, ma l’analisi va focalizzata sulla discrepanza tra annunci e azioni reali. Dunque, da quanto tempo Schlein è la segretaria del Pd?”. A marzo saranno tre anni. “Ecco. Zohran Mamdani ce ne ha messo uno per passare dal volantinaggio nelle strade di Manhattan a diventare sindaco di New York, tirando giù ogni ostacolo con una credibilità totale. Rispetto a questo Elly è in ritardo. È stata una promessa, che in realtà non si è mantenuta”. Il colloquio nasce da alcuni recenti articoli sul quotidiano comunista, in cui – in modo analogo e al contempo opposto a quanto scrive il Foglio – non vengono risparmiate le critiche alla leader dem. “La ratio del nostro ragionamento è che Schlein è diventata un bersaglio continuo, però anche lei ci mette del suo prestando il fianco ai suoi avversari”. Per esempio? “La patrimoniale, che voi liberali disdegnate a gran voce. In questi giorni Schlein ha ripetuto lo stesso clamoroso errore di Letta, che all’epoca aveva valutato di tassare di più le successioni, salvo poi fare marcia indietro dopo l’insurrezione del suo stesso partito. Così perse da entrambe le parti: fu martellato dalla destra e non si prese nemmeno i voti della sinistra. Oggi la storia si ripete”. Ed Elly rispolvera la tassa sui ricchi, da applicarsi a livello europeo. “Cioè in termini irrealizzabili. Mancano le proposte concrete: la radicalità degli annunci non è credibile perché non c’è progettualità coerente”. Secondo Fabozzi, Schlein difetta soprattutto di coraggio. “Tre anni sono tanti per non dare una conseguenza a certi proclami, che avrebbero bisogno di maggior radicalità e decisione”.
La premessa è che non era una sfida facile: “Lei ha raccolto il Pd nel suo punto più basso e disperato di sempre. Però c’erano aspettative superiori sulla sua capacità di incedere. Su questo pesa molto l’irrisolta geografia interna al campo largo. Dove il rapporto con Avs funziona poco, perché viene dato per scontato, quindi la sinistra ha pochi margini per fare la differenza: Fratoianni e Bonelli si sono lamentati parecchio anche sulle liste alle regionali. Dall’altra parte c’è il problema opposto”. Conte. “Che si rifiuta perfino di definirla alleanza, lasciando spazio all’indefinito, all’ambiguo”. Eppure pretendendo e ottenendo parecchio in sede negoziale. “Come si fa a dire ‘basta cacicchi’ e poi contrattare con De Luca pur di candidare Fico in Campania? Queste dinamiche sono il contrario dell’annuncio di rinnovamento. E continuano ad alimentare un deficit di credibilità che il Pd deve scontare da tempo, anche a causa dei suoi compromessi. Le responsabilità di Schlein vanno allargate al gruppo dirigente attorno a lei”. È il paradosso intrinseco dei dem, “nati attorno alla querelle sul trattino tra le parole centro e sinistra”, ricorda il direttore Fabozzi. “Dopo quasi due decenni, oggi però più che un trattino c’è un muro interno: almeno due partiti nello stesso contenitore. È un grande equivoco che va risolto. In quel 2007 il Pd avrebbe dovuto essere un accordo elettorale per ragion di voti, invece si è rivelato un esperimento di cui abbiamo potuto constatare il fallimento da diversi anni. Tenerlo in piedi è accanimento terapeutico”. Sulle ragioni del flop, e ci mancherebbe, Foglio e Manifesto hanno opinioni diverse. “Gli avversari interni di Schlein, i riformisti, sono portatori di un’idea vecchia e perdente: cioè che le politiche migliori sono quelle più moderate. Invece viviamo in una società con problemi talmente radicali che richiedono analoga radicalità delle risposte. Noi del Manifesto, per definizione, stiamo da sempre dalla parte del torto: probabilmente non concorderemo nemmeno con la futura riorganizzazione del Pd. Ma è difficile andare avanti così”. Il limbo di Elly, questo sì, mette tutti d’accordo.
Costi e benefici
L'Italia dovrà decidere se vuole l'ora legale tutto l'anno