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Verso il referendum

Di Pietro unchained. L'ex pm, volto del comitato "SìSepara", difende il nuovo se stesso che ha cambiato idea

"Che c'azzecca Di Pietro qui'", scherza su se stesso l'ex pm, dando di "abusivo" a Silvio Berlusconi e chi "mette il cappello" su una riforma nata a sinistra

Marianna Rizzini

“Quel Silvio di cui non ricordo il cognome voleva mettere i pm sotto il controllo politico”, dice l'ex pubblico ministero. “Questa riforma, avviata dalla sinistra, non intacca l’indipendenza della magistratura. Se un pm si vuole inginocchiare può già farlo adesso, Palamara docet”

Parla in terza persona e poi in prima e poi di nuovo in terza e si dà del lei e poi del tu, presentandosi agli astanti come fosse un altro per rientrare infine nei propri panni e sorridere nel dare voce ai due se stessi: il vecchio Antonio Di Pietro che dice “embè” e il nuovo Antonio Di Pietro che vuole essere “sereno” quando entra in un’aula di tribunale. Uno e doppio, due facce l’un contro l’altra apparentemente armate in nome della riforma della giustizia. Apparentemente, in effetti, perché lui, Di Pietro, ex pm di Mani Pulite, simbolo di Tangentopoli, poi ministro, leader di Italia dei Valori, uomo inflessibile nei Palazzi e contadino felice sul trattore, animatore di piazze antiberlusconiane tra popoli viola e post-it gialli – lui, proprio lui – dice a testa alta che ha cambiato idea. Prima non la pensava così, ma oggi fortissimamente vuole la separazione delle carriere, al punto da farsi volto ufficiale del fronte del “sì”.

 

Ed eccolo, infatti, ieri, comparire alla Camera, tra i relatori, per la presentazione del comitato “SìSepara”, promosso dalla Fondazione Einaudi. Eccolo intento a prendere in giro il vecchio se stesso a suon di “che c’azzecca qui Di Pietro?” pronunciati dal suo nuovo io. “Vogliamo convincere i cittadini che questa è una riforma necessaria”, dice intanto il presidente della Fondazione Einaudi Giuseppe Benedetto, ideatore del comitato “fatto di donne e uomini autorevoli uniti dalla comune convinzione che quella sulla separazione delle carriere dei magistrati sia una battaglia di civiltà”. “La sfida che ci accompagnerà fino alla primavera del 2026”, dice Benedetto, “sarà quella di informare in modo corretto i cittadini sul merito della riforma, ricercando un linguaggio semplice ma mai slogan”. Parlano anche il presidente delle Camere Penali Gian Domenico Caiazza, l’ex ministro Enrico Costa e il giornalista ed ex senatore Andrea Cangini.

 

Di Pietro attende, interviene per ultimo, ed è lì che s’infiamma: no, lui non è un “traditore”, dice all’indirizzo di chi tale lo considera, e no, non sta combattendo a favore di una battaglia del defunto nemico di sempre, Silvio Berlusconi. E guai a chi “mette il cappello” sulla riforma, tuona, parlando del Cav. come di “un abusivo”, e del nuovo Di Pietro come di un uomo schierato con il “sì” per “gesto di risponsabilità”. Altro che “motivi spiccioli” da campagna elettorale, altro che “partito preso”: le parole arretrano di fronte alla gestualità del vecchio (e per un attimo redivivo) Di Pietro, quello che disegnava in aria figure geometriche per dare all’interlocutore l’idea del ritrovamento della quadra nel dibattito. “La forza del pm deve rimanere intatta”, dice, “e nella riforma infatti non viene toccata. Cittadini, rileggete l’articolo 104 della Costituzione, non è stato modificato”, arringa l’ex pm, chiedendo a giornalisti e Anm di fare autocritica come ha fatto lui. Tangentopoli era nata come “risposta al malaffare”, dice, ma poi il tempo ha cambiato le carte in tavola, è il concetto, e c’è chi si è trovato a difendersi non nel processo, ma dal processo. E mentre Caiazza, a proposito della propaganda sull’altro fronte, definisce “volgare menzogna” la “falsificazione che la riforma sottoporrebbe il pm all’esecutivo”, Di Pietro si inerpica su terreni scivolosi: “Alcuni dicono che questa riforma aumenta i poteri dei procuratori, altri che li diminuisce: ma non è che vi rode soltanto?”. 

 

Ma è su Berlusconi che torna, l’ex pm, dopo che Costa ha enumerato i (tanti) casi di ingiusta detenzione e le (poche) condanne disciplinari, e dopo che Cangini ha ricordato che la separazione delle carriere, “riforma attesa e trasversale”, era stata “acclamata come ineludibile anche dai dirigenti del Pd soltanto sei anni fa”. Non appena i cronisti insistono nel far notare a Di Pietro che sta combattendo, in fondo, la grande battaglia azzurra, quasi quasi all’ex pm esce un altro “embé”: “Quel Silvio di cui non ricordo il cognome”, dice, “voleva mettere i pm sotto il controllo politico”, mentre “questa riforma, avviata dalla sinistra, non intacca l’indipendenza della magistratura. Se un pm si vuole inginocchiare può già farlo adesso, Palamara docet”. Ed ecco perché, sottolinea, Di Pietro è lì a sottolineare l’importanza del giudice terzo. “Vorrei che il cittadino andasse a votare informato”, sospira, ribadendo che “Berlusconi è sceso in politica per risolvere con le riforme i suoi problemi giudiziari”, ma non per questo, ripete, qualcuno può intestarsi in suo nome l’oggetto del contendere di oggi. Infine, cardinalizio, si placa: sia data “più serenità a tutti per fare un buon processo”.

 

Chi più di lui può dirlo? “Ho fatto il procuratore, l’avvocato, il poliziotto, l’indagato e pure l’imputato: ho vestito tutte le giacchette e ho cambiato idea. Non sono un traditore, ma una persona responsabile”, ricorda, salutando gli astanti e mostrandosi pronto, da dicembre, alla vera e propria campagna di piazza e di tv.

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.