Racconto romantico-politico
Paolo&Lucia. Pomicino racconta la “storia di un amore d'altri tempi” (il suo)
L'incontro con la donna di 27 anni più giovane (poi sua moglie), le candidature, i trapianti. E lei, il “soldato” che lo salva
Quanto Andreotti lo andò a trovare a Milano, in attesa di un cuore nuovo, e lo trovò sereno con Lucia, "come aspettasse il tram". corteggiamento, tanto serrato quanto preoccupato: lo sai che quando io avrò ottant’anni tu ne avrai poco più di cinquanta? diceva lui. Non è un problema tuo, rispondeva lei con una determinazione che, vista dall’oggi, dice Pomicino, “faceva indovinare quello che sarebbe accaduto dopo”. Ovvero: un’infinità di cene lei e lui, lui e lei, “sempre noi due, perché ci piaceva molto di più ridere da soli che in mezzo agli altri”.
Roma. Conviene partire da una piccola frase su una grande torta di compleanno, per entrare nella storia dell’amore d’altri tempi, come la chiama il co-protagonista della vicenda, storia d’amore tra lui – Paolo Cirino Pomicino, 86 enne ex ministro, ex parlamentare e pilastro della Democrazia cristiana che fu – e lei, Lucia Marotta, sua moglie, “donna bellissima e divertente” che, dice Pomicino, di anni ne ha ben 27 meno di lui. E quando lo dice non resiste, il ministro, a ricordare il giorno in cui, dopo averli visti insieme, un noto giornalista del Corriere della Sera scrisse che lei era “due metri più alta e due secoli più giovane”. “Sei il mio Highlander”, erano dunque le parole fatte tatuare da Lucia sulla torta che, il 3 settembre scorso, ha coronato l’uscita dall’ultima degenza (“ennesima”, ricorda l’ex ministro, enumerando interventi, trapianti e un’uscita dal coma sempre con Lucia al fianco) e al tempo stesso lo spegnimento delle numerose candeline. Ma conviene anche partire da un’immagine: eccoli, Paolo e Lucia, a qualche anno dal primo incontro, volteggiare tra i tavoli di un hotel alle Mauritius, sotto un tendone di fortuna, durante un urugano tropicale, sulle note tzigane di “Oci ciornie”, occhi neri, canzone travolgente persino sotto il fortunale, sotto gli sguardi attoniti degli altri ospiti. Quella torta e quel ballo – come le canzoni napoletane che Pomicino cantava a Lucia durante il corteggiamento vecchio stile, accompagnato da uno strimpellatore professionista, sentendosi rispondere “Fantozzi, è lei?” – parlano di loro molto più delle foto del matrimonio, celebrato nel 2014 a valle di un ultradecennale fidanzamento e dei rispettivi divorzi (più veloce quello di lei, più lento quello di lui). E il pensiero, racconta l’ex ministro, non può non andare al folgorante incipit che lì per lì non ebbe seguito: “Eravamo all’inizio del terzo millennio e io mi innamorai a prima vista, sessantaduenne, di una donna di trentacinque, amica di mia figlia e dell’età di mia figlia”. Contesto: una villa sull’Appia Antica e una scintilla che scocca subito (“le ho lanciato uno sguardo accorto”, dice l’ex ministro) ma che non può in realtà scoccare. All’epoca, infatti, sono ambedue sposati. Secondo incontro: qualche anno dopo, sempre a Roma, piazza Barberini. Lui si sente chiamare: “Onorevole, si ricorda di me?”. E come poteva scordarsene? Pomicino coglie l’occasione: Lucia gli dà il suo numero chiedendo di farlo avere a sua figlia Ilaria, amica d’un tempo; Paolo lo prende, ma chiede dove sia suo marito. Lei dice che ha divorziato, lui che si è separato. Il numero non arriverà mai nella tasche di Ilaria, ma servirà per far partire il suddetto corteggiamento, tanto serrato quanto preoccupato: lo sai che quando io avrò ottant’anni tu ne avrai poco più di cinquanta? diceva lui. Non è un problema tuo, rispondeva lei con una determinazione che, vista dall’oggi, dice Pomicino, “faceva indovinare quello che sarebbe accaduto dopo”. Ovvero: un’infinità di cene lei e lui, lui e lei, “sempre noi due, perché ci piaceva molto di più ridere da soli che in mezzo agli altri”. Sarà questo il segreto, pensa l’intruso che ascolta la storia e se li immagina al ristorante, con lui che a quel punto ha già visto tutto, battaglia di Tangentopoli compresa, e lei che ha studiato chimica e lavorato in pubblicità ed è approdata alla quiete dopo la tempesta vissuta da lui, pronta ad attraversare altre avventure insieme, a partire dalla politica che rientra dalla porta, con una telefonata di Clemente Mastella: perché non ci candidiamo in Europa? Detto e fatto: Pomicino si mette a fare campagna elettorale, accompagnato a volte dall’amico Gianni De Michelis e a volte da Lucia, che intanto lo ha portato a Roma a conoscere i suoi, in pieno stile “Meet the parents”, con Paolo che dice al futuro suocero, avvocato di tre anni più grande di lui, beh, al suo posto mi sarei allarmato, ma le chiedo di benedire la fortuna che mi è capitata: innamorarmi di sua figlia ed essere corrisposto. E da allora i due, “spensierati e giocherelloni”, con rare punte di “amore litigarello”, procedono spediti lungo la nuova-vecchia vita politica di Pomicino: eletto a Bruxelles nel 2004, poi a Montecitorio nel 2006, sempre con l’ombra del suo cuore: un altro infarto, il trapianto e due angeli custodi, Lucia e Mario Viganò, chirurgo che un giorno, narra la leggenda, dovendo correre per il trapianto di Pomicino al San Matteo di Pavia, ma trovandosi a Rapallo, fu preso e accompagnato con urgenza da un mezzo dei Carabinieri, facendo temere per chissà quale arresto, racconta Pomicino, “e invece era arrivato il mio cuore nuovo”. In mezzo, c’era stato il tempo bellissimo e sospeso di Milano: nove mesi di attesa di un cuore per Paolo, nove mesi con Lucia in giro per Brera, a colazione con Lina Sotis o a pranzo con l’ex senatore Domenico Contestabile, dal bar Jamaica a via Palermo, nella città non ancora trasformata dal rinascimento dell’Expò, chiamati tre volte e tre volte tornati a casa, ché il cuore nuovo non funzionava. Ma loro restavano in stato di grazia, al punto che l’ex premier Giulio Andreotti, giunto nel capoluogo lombardo per altri impegni, e unitosi a Paolo per un caffè, era tornato a Roma esterrefatto: “Pomicino aspetta il cuore nuovo come fosse un tram”. E così è stato fino al giorno di Pasquetta in cui Paolo si è sentito chiamare a ora di pranzo: è arrivato. Era il cuore buono, ma non era l’ultima operazione: seguiranno un trapianto di rene, il coma, la polmonite e le lunghissime degenze degli ultimi due anni, alle Molinette di Torino, con Lucia in modalità “guardia del corpo”: lei che vigila e parla con i medici, dice lui, “e a volte, se serve, ci litiga”, ma che poi lo incoraggia a salutarli con una delle sue filastrocche in rima, cimelio dei reparti ospedalieri. Lucia lo ha salvato anche quando, al risveglio dal coma, alla domanda “Paolo, mi riconosci?”, Paolo, ancora un po’ frastornato, ha risposto “sì, sei Francesca”. E a Lucia, invece che il sopracciglio alzato, a quel punto è scappato un sorriso. Se non è amore questo, che cosa lo è? si è chieso lui, rispondendosi quello che sapeva già: “Solo con lei potrei essere arrivato come sono fino a qui”.