l'intervista
Piantedosi: "Su Almasri l'opposizione chieda scusa. Soloni che sproloquiano. Militari a Crosetto? Allora anche più agenti"
Parla il ministro dell'Interno: "La riforma della giustizia rafforza la magistratura. Non è un test per Meloni. I cori di Parma dei giovani FdI "goliardiche carnevalate di chi non conosce appieno il significato"
Lo chiamano il “ministro della forza”, ma è il signore della calma. Parla il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, parla dell’arresto di Almasri in Libia, e dice al Foglio: “L’arresto conferma che non facemmo male a riconsegnarlo alle autorità di quel paese che, nella circostanza, sta manifestando una maturità maggiore di tanti soloni che stanno sproloquiando sull’argomento”.
Ministro, l’opposizione chiede le sue scuse, vuole quelle del governo, di Meloni, dice che avete liberato un torturatore. Piantedosi chiede scusa? “Dovrebbe chiedere scusa al governo chi, per malafede o più probabilmente per scarsa conoscenza dei fatti e degli atti, aveva sostenuto che avevamo rimpatriato un soggetto pericoloso per assicurargli impunità. Se avessero letto con attenzione tutti gli atti finiti dinanzi alla competente giunta parlamentare avrebbero rilevato che fra gli elementi che furono valutati al momento del rimpatrio ci fu anche una richiesta di estradizione di Almasri da parte dell’autorità giudiziaria libica, per processarlo per gli stessi reati”.
Gli chiediamo di Ucraina, referendum, Difesa e Crosetto. La riforma della giustizia? “Non è affatto una riforma contro la magistratura. Servirà a superare certe degenerazioni correntizie che hanno danneggiato gli stessi magistrati e la loro autorevolezza”. Il referendum? “Non si può trasformare in un test politico sul governo perché altrimenti sarebbe svilito e trascurato il vero tema. Con questa riforma l’indipendenza della magistratura è intatta, salvaguardata e per certi versi rafforzata”. Le parole miserabili della portavoce del Cremlino, Zakharova, dopo la morte di un operaio caduto sotto le macerie? “Pura volgarità ma le sue parole restituiscono il senso della dimensione etica del personaggio”. Ministro, l’Ucraina si può sostenere ancora per almeno altri “cinquant’anni” o sarebbe meglio lasciare perdere? Piantedosi risponde senza pensarci: “Il nostro sostegno è convinto e necessario”. E ripete: “Convinto e necessario”. Comincia a parlare della fermezza dell’Occidente e dell’ingiustificabile e violenta aggressione ai danni degli ucraini, ma prima di lasciarlo argomentare gli chiediamo se sia vero che abbia litigato con Guido Crosetto, il ministro della Difesa.
Gli domandiamo se i militari dell’operazione “Strade sicure”, le mimetiche che vediamo per le vie, torneranno a occuparsi di Difesa, come auspica Crosetto, e Piantedosi usa la parola “amico”. Non c’è dissimulazione. Piantedosi garantisce che “non c’è nessuna divergenza con il mio amico e collega Crosetto. Non ci siamo, peraltro, neanche ancora confrontati sul tema”. Poi porge la mano, da “collega”, ma avverte che per staccare i militari servono più agenti: “Una progressiva restituzione dei militari ai propri compiti di istituto, accompagnata da un parallelo, progressivo e ulteriore incremento degli organici delle forze di polizia potrebbe essere nell’ordine delle cose. Sono disponibile, come sempre, ad ogni costruttivo confronto su questo tema. L’Italia ha bisogno di uno strumento militare moderno ed efficiente”. Crosetto, instancabile, da mesi, prova a spiegare che la Difesa è anche cybersicurezza, che investire in Difesa non significa fare “l’armigero” ma proteggere server, sovranità. Piantedosi, che apre alla possibilità di “una progressiva restituzione dei militari ai propri compiti” ma che vada di pari passo con il rafforzamento delle forze di polizia, è convinto che serva uno “strumento militare moderno ed efficiente che sia adeguatamente concentrato sui molteplici impegni delle sfide internazionali di questi tempi”. Per chiarezza, per ricordare le priorità, per evitare eventuali fraintendimenti, Piantedosi aggiunge “che d’altro canto la sicurezza delle nostre città è un’esigenza quotidianamente avvertita dagli italiani che sarà sempre in cima all’agenda di governo”.
Dopo l’ultimo caso di cronaca, l’accoltellamento a Milano da parte di un uomo che aveva espiato la sua pena, con disagi mentali e che aveva rifiutato l’aiuto psichiatrico, Piantedosi ha parlato di “terza via” tra il “passaggio dalla pratica dei manicomi a quello che è avvenuto dopo”. Alla parola “terza via” qualcuno ha ipotizzato che Piantedosi volesse tornare a prima della legge Basaglia, la legge che ha sancito la fine dei manicomi. Gli chiediamo, per provocarlo, se davvero voglia tornare a prima della legge Basaglia e Piantedosi risponde con calma, ma forza, sì forza, che “chi ha inteso che volessi tornare a prima della legge Basaglia non ha capito un bel niente. Eppure quello che ho detto era molto facile: va trovata una soluzione che assicuri meglio la sicurezza dei cittadini proprio senza tornare al sistema dei manicomi del passato. Assolutamente. Sono d’accordo con chi, come Guido Bertolaso, concordando su questa esigenza ha detto che la soluzione già potrebbe esserci ed è costituita dalle cosiddette Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza (REMS). Bisogna lavorarci per renderle adeguate ed efficaci”. E’ ancora sconvolto per le parole miserabili usate dalla portavoce del Cremlino, Zacharova. Il ministro la definisce “volgarità” e parla di qualcosa privo di logica, “parole fuori luogo”, poi la trova, la logica. Trova la logica guasta della propaganda russa perché “Zakharova ha applicato toni propagandistici, propri di una contesa militare, a un grave incidente sul lavoro conclusosi tragicamente. Ma un operaio che ha trovato la morte per il crollo di un solaio non c’entra nulla con simili pulsioni propagandistiche”. Torno a chiedergli di Ucraina, a interrogarlo su quel sostegno “convinto e necessario” dell’Occidente e la forza torna calma “piantedosiana”, la speciale pianta dei prefetti perché – continua Piantedosi – “il nostro sostegno all’Ucraina non è frutto di sentimenti di ostilità nei confronti del popolo russo, tantomeno da parte italiana. La speranza è che ora si metta fine a questo conflitto con un accordo ragionevole in un quadro di reciproche garanzie rispetto alla tutela della sicurezza nell’area. C’è bisogno di pace e di stabilità, superando un conflitto che è estremamente pericoloso”. Ragionando di propaganda e speranza gli rivolgiamo la domanda sul referendum che si è già trasformato in una gara di testimonial. Piantedosi difende la riforma e consiglia di stare sul merito: “Nonostante certe letture ideologiche, con questa riforma l’indipendenza dei magistrati è intatta, salvaguardata e per certi versi rafforzata. Sgomberando il campo da tanti pregiudizi di parte, ci sono tutte le condizioni perché si sviluppi un dibattito rispettoso che entri esclusivamente nel merito del testo. Poi la parola passerà ai cittadini che decideranno per il meglio”. Il referendum viene già considerato un referendum sui leader, Meloni e Schlein, ma Piantedosi prova a riportarlo sul tema: “Ci sarà una consultazione referendaria che va considerata come tale. Sarebbe un errore che si è già compiuto nel recente passato”. A proposito del passato gli domandiamo che effetto gli abbia fatto vedere i cori dei giovani FdI a Parma. Non si sottrae e ne fa una questione di sintonia con Meloni. Dice Piantedosi: “Giorgia Meloni sta ottenendo grandissimi risultati in Italia e per l’Italia con un impegno che merita rispetto e sostegno senza distrazioni di sorta. Siamo tutti, a qualsiasi livello, chiamati a essere in sintonia con questo impegno e con i risultati che sta producendo in termini di leadership riconosciuta a livello internazionale”. Ministro, come definerebbe i cori? Piantedosi usa questa frase “alcune goliardiche carnevalate” e prosegue “alcune goliardiche carnevalate ripropongono in maniera folcloristica atteggiamenti di cui, evidentemente, non si conosce appieno il significato ed alludono a suggestioni sconfitte drammaticamente dalla storia”. Gli chiediamo, ancora, con malizia, se stia giustificando, e Piantedosi rilancia ma avverte che la violenza oggi sta altrove: “Questi giovani non si sono resi conto che Fratelli d’Italia e il centrodestra rappresentano e incarnano una proposta politica incentrata sui valori del conservatorismo, del liberalismo, della democrazia, in una prospettiva occidentale ed europea che è antitetica rispetto a qualsiasi forma di totalitarismo. Fascismo incluso. Questo per chiarire che nessuno può strumentalizzare simili episodi deplorevoli per immaginare di poter dare lezioni alla maggioranza. Anche perché a livello giovanile in Italia le intemperanze concretamente più violente e pericolose si riscontrano in altri ambiti e contesti che sono riconducibili e si richiamano ad altre ideologie di matrice antagonistica”. Concludiamo parlando di Palestina. Il 7 novembre, Meloni riceverà il presidente Abu Mazen. Ministro, riconoscerete lo stato di Palestina? Ministro, dunque? Piantedosi, che non vuole invadere il campo di Tajani fa allora Piantedosi, il calmo. Risponde che “l’Italia con grande determinazione sta facendo la sua parte per sostenere un processo di stabilizzazione e pacificazione dell’area” e che “ogni occasione di dialogo è fondamentale per isolare e sconfiggere nel campo palestinese le frange di estremisti e terroristi, in particolare chi opera sotto le insegne di Hamas”. Da avellinese sarebbe forse capace di stabilizzare anche il Medio Oriente, che per Piantedosi “deve superare questa fase cruenta, fissando le condizioni definitive per garantire la piena sicurezza di tutti i cittadini di quella terra martoriata”. E’ il ministro della calma.
Fratelli coltellini