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L'analisi

Partito per partito, a chi piace e a chi no la nuova legge elettorale che sogna Meloni

Alessandro Villari

Sistema proporzionale con preferenze, soglia di sbarramento al 3 per cento (che non dispiace a Calenda) e premio di maggioranza a due soglie. La presidente del Consiglio tenta di portare dalla sua parte gli alleati di governo. Ma il nodo, a destra come a sinistra, è l'indicazione del candidato premier sulla scheda

Convincere gli alleati a cambiare la legge elettorale. E' questo lo scopo dell'incontro a cui prenderanno parte i dirigenti di Fratelli d'Italia questa settimana: capire come persuadere Salvini e Tajani che la linea di Meloni sia quella da seguire. L'obiettivo della presidente del Consiglio, come lei stessa ha detto a Porta a Porta il 7 ottobre, sarebbe infatti quello di presentarsi alle prossime elezioni con una legge elettorale proporzionale, con la possibilità di indicare la preferenza, con la soglia di sbarramento al 3 per cento per evitare la proliferazione dei partiti più piccoli e, soprattutto, un doppio premio di maggioranza. L'ipotesi è quella di assegnare il 55 per cento dei seggi alla coalizione che abbia superato il 40 per cento dei voti e il 60 per cento dei seggi se dovesse andare oltre il 45. Insomma, la governabilità garantita per chi supera il 40 per cento, ma senza i collegi uninominali che spaventano la premier in caso di unità del campo largo. L'altra a novità importante, che è anche il nodo dell'intera faccenda, sarebbe questa: ogni coalizione prima del voto dovrà indicare il nome, e poi metterlo sulla scheda elettorale, del condidato alla presidenza del Consiglio. Un antipasto del premierato sognato dalla presidente del Consiglio.

 

Meloni vuole infatti modificare l'attuale Rosatellum per arginare il centrosinistra. La legge attuale prevede un sistema misto: il 63 per cento dei seggi di Camera e Senato è assegnato attraverso il proporzionale senza preferenze, quindi con le liste bloccate, mentre il 37 per cento dei seggi è assegnato attraverso i collegi uninominali maggioritari a turno unico, dove vince chi prende più voti. La soglia di sbarramento è fissata al 3 per cento a livello nazionale per i partiti e al 10 per cento per le coalizioni. Se il campo largo avesse corso unito alle precedenti elezioni, cosa che non è accaduta, le attuali forze di governo avrebbero ora numeri più stretti in Parlamento. Il timore della premier è che le opposizioni non ripeteranno quest'errore: se dovessero presentarsi insieme potrebbero creare dei problemi al centrodestra, soprattutto nei collegi uninominali del sud. Da qui la necessità di cambiare. Inoltre, la necessità di indicare il nome del candidato premier non piace a tutto quel pezzo di centrosinistra che vorrebbe evitare primarie prima del voto, in grado di logorare la coalizione (ma anche di sancire con una chiarezza che non piace a tutti chi sarebbe il leader). Se il progetto meloniano dovesse andare in porto, alle elezioni del 2027 gli italiani andrebbero a votare con la quinta legge elettorale in appena trent'anni. 

 

A chi piace cambiare legge elettorale

Fratelli d'Italia

La premier sta spingendo verso l'addio al Rosatellum non solo per timore del campo largo, ma anche per motivi interni. Da un lato l'indicazione del suo nome sulla scheda elettorale darebbe ulteriore vigore alla lista di FdI. Dall'altro perché la nuova legge permetterebbe di misurare il valore reale dei suoi alleati dopo le elezioni e non prima, evitando in questo modo i malumori che possono nascere dalla differenza tra la distribuzione dei collegi fatta prima delle elezioni sulla base delle proiezioni dei sondaggi e i voti effettivamente presi. Nel 2022 infatti, la Lega era data al 14 per cento, mentre FI al 7, dopo il voto lo scarto tra i due partiti è stato di gran lunga inferiore (8,8 a 8,1 per cento), ma il Carroccio aveva comunque ottenuto una trentina di parlamentari in più.

 

Partito democratico

Nel centrosinistra è Elly Schlein la leader che potrebbe godere di vantaggi maggiori da questa possibile nuova legge. Indicare il candidato premier prima delle elezioni le permetterebbe di affermarsi come capo dell'opposizione con buona pace di Giuseppe Conte, ma anche di tutto quel pezzo di Pd e centrosinistra moderato che non ha ancora fatto pace con l'idea che debba essere lei la leader della coalizione. L'indicazione del candidato premier avrebbe certo anche un effetto collaterale: passare dalle primarie infatti significherebbe innescare una dinamica di competizione interna alla coalizione proprio prima della sfida decisiva contro il centrodestra.

 

Azione

Tra a chi piace la legge elettorale proposta da Fratelli d'Italia c'è invece Carlo Calenda. Mancano due anni alle prossime elezioni, ma il segretario di Azione ha già fatto sapere che correrà senza allearsi con nesssuno per non farsi schiacciare da un centrosinistra eccessivamente spostato a sinistra, sull'asse Schlein-Conte-Fratoianni. Presentarsi da solo potrebbe non essere una cattiva idea per Calenda: il progetto originario della premier era quello di alzare la soglia di sbarramento al 5 per cento per i partiti che corrono in solitaria, ma poi l'ha abbassata al 4 e si sta ragionando di ridurla ulteriormente al 3, la stessa del Rosatellum, proprio per porgere una mano a Calenda che dall'industria a Stellantis sta trovando più di un punto in comune con la presidente del Consiglio. Il segretario di Azione inoltre è fermamente convinto che l'indicazione del suo nome sulla scheda offrirebbe al partito un significativo booster elettorale. Sarà vero?

 

 

A chi non piace la nuova legge elettorale

 

Forza Italia

Da qui alle prossime elezioni, è molto difficile che Fratelli d'Italia venga scalzato come primo partito della coalizione da Salvini e Tajani, e quindi l'indicazione del presidente del Consiglio spetterebbe proprio a FdI. Le paure di FI riguardano proprio questo: mettere il nome di Meloni sulla scheda, un vantaggio mai offerto persino a Berlusconi, equivarebbe ad avvantaggiare ulteriormente il partito di cui il candidato è espressione, ovvero FdI. Per venire incontro agli alleati, Meloni potrebbe anche pensare a un compromesso: invece di indicare il nome del candidato presidente del consiglio, questo si inserirà in calce al programma di governo da presentare al Viminale prima delle elezioni insieme alla presentazione dei simboli di partito.

 

Lega

Le paure di Tajani sono simili a quelle di Matteo Salvini, ma il leader della Lega ha anche un altro timore: passare dal Rosatellum a un proporzionale puro ridurrebbe di molto i voti del Carroccio e quanto successo nel 2022 resterebbe solo un lontano ricordo. Mentre in caso di conferma dell'attuale legge elettorale il terreno dello scontro tra Meloni e Salvini sarà il nord, dove, a prescindere dai sondaggi, il Carroccio chiederà di avere suoi candidati in diversi collegi uninominali.

 

Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi-Sinistra

Il presidente del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte, così come Bonelli e Fratoianni di Alleanza Verdi-SInistra, vorrebbero che non il nome del candidato premier della coalizione non venisse messo sulle schede e che la situazione restasse così com'è oggi: ciascun partito indica il suo leader come possibile presidente del Consiglio, e, in caso di vittoria della coalizione il candidato premier si sceglie successivamente. Questo consentirebbe soprattutto a Conte di sperare in un inatteso ritorno a Palazzo Chigi.