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Tifosi o cittadini
Il dialogo che non c'è fra destra e sinistra sulla riforma della Giustizia. Un'occasione persa
Sin dall’inizio il confronto parlamentare ha assunto i toni di una precoce campagna referendaria, in patente contraddizione non solo con la retorica della centralità del Parlamento, ma anche con lo spirito dell’articolo 138, che suggerisce al Parlamento la via maestra dell’approvazione condivisa delle revisioni costituzionali
Dunque ormai è deciso. La riforma costituzionale delle carriere dei magistrati e del Csm, approvata dal Parlamento in un contesto di scontro frontale, sarà confermata o invece respinta dal popolo sovrano attraverso un referendum che assumerà di nuovo le sembianze di un’ordalia. I cittadini-elettori saranno chiamati a schierarsi: a destra con il governo e contro i magistrati, a sinistra con i magistrati e contro il governo. Due opposte tifoserie, asserragliate sulle curve, avvolte dai fumogeni e intente a scambiarsi slogan minacciosi, in uno stadio che vede invece svuotarsi le tribune, abbandonate dai tanti che avrebbero voluto semplicemente prendere sul serio la Costituzione. E avrebbero voluto affrontare, con spirito costruttivo e dialogico, il delicato tema oggetto della riforma: quello del rapporto tra le due sezioni del Titolo IV e in particolare tra l’articolo 111 (giusto processo) e la disciplina dell’ordinamento giurisdizionale.
E’ innegabile, per chiunque voglia affrontare il tema con onestà intellettuale, che porsi il problema fosse necessario. L’articolo 111, miracolosamente approvato con voto bipartisan nel 1999, in piena seconda Repubblica, introduce infatti nel nostro ordinamento il principio del “giusto processo”, inteso come “contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo e imparziale”. Domandarsi come questa radicale discontinuità nel sistema dei princìpi costituzionali in materia di giurisdizione debba armonizzarsi con l’organizzazione dell’ordine giudiziario è semplicemente un’esigenza ineludibile. A meno che non si intenda dare per scontato, come spesso succede nella patria del Gattopardo, che i princìpi affermati in sede di riforma debbano essere svuotati, se non ribaltati, quando si tratti di porre mano alla loro concreta applicazione. Incontrarsi e confrontarsi in modo serio e aperto su questo terreno, originariamente, costitutivamente comune, sarebbe stato il compito di un Parlamento degno delle sue prerogative costituzionali e di forze politiche in grado di svolgere la loro funzione dirigente.
E invece, sin dall’inizio, il confronto parlamentare ha assunto i toni di una precoce campagna referendaria, in patente contraddizione non solo con la retorica della centralità del Parlamento, ma anche e soprattutto con lo spirito, se non la lettera, dell’articolo 138, che suggerisce al Parlamento stesso la via maestra dell’approvazione condivisa delle revisioni costituzionali. La maggioranza ha presentato la riforma come una rappresaglia nei confronti di una magistratura invadente, scommettendo sulla crescente impopolarità di toghe ed ermellini. Ma così facendo, ha legittimato con la sua stessa retorica la propaganda opposta dell’opposizione, che punta a mobilitare l’elettorato a difesa delle libertà democratiche, descritte come insidiate da una destra in preda ad allarmanti tentazioni e pulsioni autoritarie, e scommette sulla possibilità di ribaltare per questa via i rapporti di forza nella contesa sul consenso elettorale nel paese. A ben guardare, in realtà, è proprio questa crescente, faziosa incomunicabilità, tanto più radicalizzata nelle opposte retoriche, quanto meno distanti appaiono in effetti le posizioni di partenza sul piano degli stessi princìpi fondamentali (nel caso di specie, magistralmente delineati dal condiviso articolo 111), a porsi come l’insidia più grave e preoccupante alla tenuta qualitativa della democrazia. A questa insidia si deve reagire. E si può farlo solo respingendo serenamente al mittente il ricatto di schieramento gridato dalle curve e chiamando invece le tribune a riempirsi, di cittadini-elettori interessati al merito della questione: la riorganizzazione dell’ordinamento giurisdizionale alla luce del principio del giusto processo. Personalmente è con questo intendimento che andrò a votare al referendum confermativo e voterò sì alla riforma. Per decidere chi debba governare l’Italia nei prossimi anni, ci saranno, nel 2027, le elezioni politiche.
 
                             
                                