Ansa
L'intevento
Il Pd apra gli occhi sull'irresponsabilità degli alleati sulla politica estera
O in breve tempo il Partito democratico ritrova la serenità e la forza per guidare l’alternativa europeista e per mettere sul giusto binario la politica estera e di difesa del paese e del continente o saremo destinati all’irrilevanza, alla rinuncia, alla resa morale
E’ cosa da niente, recita un vecchio adagio di Eduardo de Filippo nei panni del padre di Peppino Girella, sceneggiato televisivo di grande successo negli anni ‘60. Il monologo, che tentava di spezzare le catene di rinunce e rese morali tipiche di un certo fatalismo di fronte alle avversità, si concludeva con l’amara constatazione che di quel passo, noi stessi diventiamo niente. Mi torna alla mente ogniqualvolta il campo largo si trova ad esprimere un orientamento chiaro, netto su scelte di fondo che meriterebbero altra, e maggiore, responsabilità. Questo è vero nelle politiche economiche, occupazionali, di crescita e sviluppo. E’ ancora più clamoroso nei posizionamenti e negli indirizzi di politica estera e di difesa. Le ultime, in ordine di tempo, riguardano le mozioni parlamentari sulle comunicazioni della presidente del Consiglio in vista del Consiglio europeo, dove il campo largo non sa più a quali acrobazie parlamentari appellarsi, e il voto in Parlamento europeo sulla illegittimità del regime di Lukashenko. Quest’ultima ha davvero toccato punte surreali.
In altre occasioni, il principale alleato del Partito democratico ha goduto dell’ottima compagnia della peggiore risma di nazionalisti e sovranisti. Stavolta no, addirittura da soli hanno tenacemente difeso, attraverso l’astensione, l’onore e il prestigio di un satrapo dagli inconfondibili tratti brezneviani. Eccesso di zelo. In più, come se non bastasse, nell’argomentare la propria astensione, la delegazione ha sentito il dovere di chiarire che Lukashenko è lontano dalla loro idea di politica. Non è così, non è nella indistinguibilità e confusione dei contorni che si rafforza un’alleanza. Se addirittura su Lukashenko non riusciamo a trovare un denominatore comune, risulta difficile non vedere nella testardaggine un limite alla stessa unità. Credo non sia più rinviabile una sintesi e una guida chiara. In special modo su questo, in special modo adesso. E’ del tutto evidente che nei confronti del disegno di aggressione del Cremlino la strategia trumpiana, se mai si potesse elevare l’improvvisazione a strategia, non raccoglie frutti, se non avvelenati dall’intensificarsi dei bombardamenti ai danni della popolazione civile e dei territori ucraini ancora liberi.
Ed è del tutto evidente che quell’improvvisazione difetta dell’analisi su cui l’Unione europea e insieme ad essa la precedente amministrazione statunitense, è giunta fin dal primo giorno di aggressione: i calcoli di Putin non si basano sul numero di chilometri quadrati conquistati, ma sulla forza che tenta di rovesciare diritto internazionale, convivenza pacifica, equilibri di potere globale, diffondendo la riedizione di un’egemonia antioccidentale e antidemocratica. Non è materia che possa essere trattata con le caratteristiche di un business deal. Ha bisogno dell’Europa, con tutti i limiti e le debolezze che sono conosciute e riconosciute. E l’Europa ha bisogno che i paesi fondatori e più attrezzati affrontino con responsabilità e coraggio questo tornante da cui dipenderà buona parte di quel che resta del secolo. Non è cosa da niente. Continuare a giocare col vocabolario sul significato delle parole, ad anteporre le aspettative per un assessore in una giunta regionale alla politica estera, a rimestare le poche proposte condivise per coprire distanze culturali e di visione democratica, prima ancora che programmatiche, non è cosa da niente. O in breve tempo il Partito democratico ritrova la serenità e la forza per guidare l’alternativa europeista e per mettere sul giusto binario la politica estera e di difesa del paese e del continente, promuovendo questa sintesi con i principali alleati, o saremo destinati all’irrilevanza, alla rinuncia, alla resa morale.
Non si tratta semplicemente di moderare certe incontinenze retoriche facendo finta di niente. Di tanto in tanto sorgono leader, modelli territoriali, formule magiche a cui la sinistra italiana deve ispirarsi per ripartire. E’ un gioco che non mi è mai piaciuto. Ma se proprio dovessi scegliere, ripartirei da Peppino Girella.
Pina Picierno, europarlamentare del Pd, vicepresidente del Parlamento Europeo