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L'ipocrisia M5s sulla libertà di stampa. Quando per grillini i giornalisti erano sterco

L'ideologia fondativa del M5s, che è ancora quella, e il disprezzo per l'informazione

Maurizio Crippa

Il Movimento convoca oggi una manifestazione a Roma, con l'appoggio di Travaglio, per Sigfrido Ranucci. Dimenticando quando Grillo stilava liste di proscrizione contro i giornalisti nemici, Dibba li chiamava "puttane" e il  “gerarca minore” Vito Crimi voleva abolire l'ordine professionale

Uno dei più trafelati urlatori grillini (siano ex, post, o neo grillini quello rimangono), Dario Carotenuto, da tempo addetto, per mandato o per vocazione, al quotidiano abbaio contro le destre e specialista dell’ululato al genocidio, ha fatto la sua chiamata al popolo su X: “La libertà di stampa è un pilastro della democrazia. Quando un giornalista viene minacciato, quando un’inchiesta viene ostacolata, non è solo un individuo a essere colpito, ma il diritto di tutti a conoscere, a capire, a essere informati”. Oggi saranno in piazza a Roma, “al fianco di @SigfridoRanucci e di tutti coloro che credono in un’informazione libera e indipendente”. E’ la manif “VIVA LA STAMPA LIBERA!” – scritto all caps perché lo stile turpiloquente da strilloni dell’internet è rimasto nonostante le pochette – in comodato d’uso con Marco Travaglio, maestro del bon ton che piace. Il grande afflato ex post neo grillino per la libertà di stampa, dopo anni in cui ai giornalisti si dava di sciacalli e mangiatori di cacca, vale un premio all’ipocrisia.

A difendere la libertà dei giornalisti ci saranno soprattutto quelli  considerati amici, da Travaglio a Rula Jebreal – Sigfrido Ranucci ha ovviamente un posto di riguardo a parte nella circostanza. La libertà di stampa è ovviamente cara a tutti, non solo a chi fa questo mestiere, e soprattutto senza il birignao del “contropotere” e dell’allarmismo democratico che invece si leverà da piazza Santi Apostoli. Ma in bocca agli ex post neo è una delle capriole  d’ipocrisia meno digeribili che il partito di Conte possa esibire al suo pubblico calante. Dario Carotenuto, per dire, è lo stesso militante della prima ora che partecipava ai meet-up di Napoli, quei misteriosi simposi che non ammettevano l’intrusione dell’informazione.

 

Erano i tempi in cui la libertà dei giornalisti era questa roba qui: Beppe Grillo che tra gli applausi e i rutti in rete dei futuri citoyen comminava il “Premio stercorario” al “Giornalista dell’Anno”, cioè a tutti gli odiati nemici per cui la tutela della libertà d’opinione non valeva alla stregua dell’uno vale uno. Una delle prima a finire nella lista di proscrizione della rubrica “Giornalista del giorno” del blog di Grillo fu Maria Novella Oppo, dell’Unità, non una vestale di Atreju. Ma ancora erano i tempi in cui Boldrini si scagliava contro il partito che oggi è invece pivot del campo largo: “Pestaggio 2.0”, s’indignò in difesa della giornalista messa nel mirino. Tra i denunciati dalla gogna internettiana del MoVimento non c’erano solo i giornalisti liberali che si battevano a mani nude contro il populismo già dai tempi della “Casta”; c’erano persino Gramellini, Gad Lerner o Corrado Augias. Erano i bei tempi in cui invece di “viva la stampa libera!” ai giornalisti il Guru cinque stelle diceva: “Vi mangerei per il gusto di vomitarvi”. Ma non era solo Grillo, c’era anche Marco Travaglio, il sodale di oggi in piazza, che chiamava Pigi Battista “cerchiobatista”; anni dopo usò l’orribile paragone del“bambino ritardato” per insultare il collega Sallusti. Non erano sfoghi o eruttazioni giovanili. Era l’ideologia, un modo di vedere e pensare. Era la linea generale imposta, un misto di vaffa e di follie à la Casaleggio, il pensatore che voleva sostituire la libera informazione con lo streaming senza contraddittorio (che dire? Forse i silenzi stampa di Meloni non sono un’invenzione sua) e il canale unico della piattaforma Rousseau. Tempi in cui vigeva il divieto di andare ospiti in televisione (“non ci vado più, non mi convincete, fino a quando i giornalisti non fanno il loro mestiere non vado”, Dibba). Quando Gigino Di Maio chiamava i giornalisti “sciacalli” e il raffinato intellò Di Battista più sinteticamente “puttane”. Quando, all’epoca primitiva della strategia dell’apriscatole le regole d’accesso per i giornalisti alle aule parlamentari dei “cittadini” erano subordinate a oscure cabale e chat segrete. Tempi in cui il “gerarca minore” Vito Crimi (copyright Massimo Bordin) era sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri con delega all’Informazione e all’Editoria e voleva non solo mettere il naso nei bilanci degli editori ma addirittura sciogliere l’Ordine dei giornalisti. Ora però sono diventati gli unici veri paladini della stampa libera. Dopo essere stati i gerarchi minori di una informazione politica in cui esisteva solo libertà di vaffa.
 

  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"