(foto Ansa)

L'editoriale dell'elefantino

Bella cosa la faccia tosta di Sigfrido Ranucci

Giuliano Ferrara

Stato vicino, niente serpenti sotto le foglie. Come non fare la vittima e smentire il romanzo della collusione. Ecco perché le dichiarazioni del giornalista incrinano un modello in cui tanti si sono rispecchiati senza complessi e, in certi casi, senza alcun pudore

Ranucci non è la mia tazza di tè, ho un bel pregiudizio su qualunque cosa faccia, non lo vedo e non mi piace. Però, a parte la solidarietà per le minacce e la bomba e quell’atmosfera un po’ così che immagino si respiri a Pomezia, ridente località alle porte di Roma, ho trovato encomiabili due dichiarazioni del giornalista investigativo: sento lo stato vicino, ha detto, e non vedo mandanti politici, ha aggiunto. A parte la tirata contro lo stato di polizia e la deriva cilena contro la stampa libera di Schlein, che già in sé non parve segno di equilibrio nel giudizio, tutti i sostenitori e gli amici della vittima dell’attentato avevano suggerito istantaneamente l’opposto, un riflesso automatico quello del giornalista di contropotere delegittimato dai prepotenti al governo. Invece di pucciare il biscotto in quel cappuccino troppo zuccheroso, Ranucci ha scelto una linea sobria che smentisce Ranucci. Il che mi rende ghiotto il proposito di smentire me stesso o almeno i miei sospetti. 

In prima battuta ero quasi sicuro che la bomba di Pomezia, oltre che un elemento truce e manigoldo di minaccia a uno per educarne cento, fosse destinata a essere la nuova occasione o pretesto per l’ennesima consacrazione di una vittima di stato sotto abbondante scorta di stato, delegittimata dagli apparati mandanti di strage ma legittimata dalla protezione pubblica della polizia di stato e dal suo leggendario e incantato alone mediatico. La retorica del contropotere si è nutrita in questi anni della disponibilità esibizionistica di molti a considerarsi non solo e non tanto bersagli dei malommini, ma eroi della rivolta contro la malapolitica, contro lo stato distratto e lontano, contro gli onnipresenti mandanti esterni degli agguati di mafia e camorra. Indubitabile il disagio di essere sotto protezione per aver esercitato un essenziale diritto civile e per aver fatto il proprio mestiere.

 

Indubitabile l’ansia a fronte di minacce e avvertimenti loschi. Ma è altrettanto certo che spesso disagio e ansia si sono tramutati in una commedia del perseguitato, all’insegna di ombre oscure che inseguono la sagoma inconfondibile del giornalista investigativo, dello scrittore civile, del pubblico funzionario o magistrato scortato dalla propria aureola di vittima e protagonista di una vita rubata. E non è stato raro che si confondessero coraggio personale, perseveranza, lodevole ostinazione con forme lacrimevoli e sentimentali di narcisismo.

 

Le dichiarazioni di Ranucci incrinano un modello in cui tanti si sono rispecchiati senza complessi e anche, in certi casi, senza alcun pudore. Stato vicino e protettivo, no mandanti e serpenti sotto le foglie: ci vuole una certa faccia tosta, una bella cosa, a smentire il romanzo d’appendice della collusione. Lo schemino ideologico degli apparati sempre deviati, dello stato sempre complice dell’antistato, insomma la lagna dell’eroe che fa pubblicistica e politica nella veste della vittima predestinata dell’orco politico, è come una seconda pelle del dibattito pubblico sui grandi e piccoli casi di cronaca criminale. Per la prima volta, che io ricordi, qualcuno che aveva i soliti titoli per la parte si è rifiutato di candidarsi al ruolo di martire tormentato delle forze oscure in agguato della reazione politica alla ricerca libera della verità. Mica male.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.