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Il racconto

Meloni d'Intesa, la promessa all'ad Carlo Messina: "Nessun furore". Solo 1 miliardo per la Difesa. La sofferenza di Crosetto

Carmelo Caruso

Giorgetti sbotta contro Tajani, Salvini parla come un'evangelista. Il ponte fra la premier e Banca Intesa che ricorda il ruolo svolto durante il Covid. Le spese militari restano basse, la Difesa viene rimandata al 2035

Chiamate il Papa. Una manovra da 18,8 miliardi, la “pace” (fiscale), la “gratitudine” (verso le banche), la “luce”, il “miracolo”! Sia lodato Carlo Messina, ad di Intesa. Meloni si presenta in conferenza stampa dopo due anni e risponde a due domande (Palazzo Chigi sembra Lourdes: “E’ apparsa! Venite!”) i giornalisti chiedono a Giorgetti di Robin Hood e Giorgetti, il pastorello, risponde che gli sceriffi di Nottingham gli stanno “sul sederino”. Meloni, la Madonna della Garbatella, deve scappare per i funerali di stato  e lascia Giorgetti come l’aratro in mezzo alla maggese. Tony Tajani è gazatissimo perché ha difeso le banche, ma il pastorello Giorgetti, che parla di “miracolo”, gli borbotta: “E bastaaaa”. Accanto a loro, Salvini, Salvinacci, usa l’Evangelo e annuncia “16 milioni di italiani con la pace fiscale rivedranno la luce”. Il cielo si apre. E’ nata in Cdm la legge di Bilancio e Meloni si “concilia”. E’ il Concilio meloniano II, l’ecumenismo Meloni- Messina. 


La parte seria: Meloni non è Lenin e l’Italia non è l’Urss. La parte comica: Tajani esulta perché non c’è la tassa sugli extraprofitti degli istituti di credito, ma Giorgetti nega di aver pensato a una tassa extraprofitti (era già incostituzionale ai tempi di Draghi con le società energetiche). Insomma, chi paga la manovra? Viene finanziata con 5 miliardi di fondi Pnrr che Giorgetti ripete “è un prestito. Come ve lo devo dire?”. Si taglia ai ministeri, alla presidenza del Consiglio. Si risparmia. Ma c’è la pace fiscale, la rottamazione che per Salvinacci vale più del Ponte. Gli altri 5 miliardi di manovra arrivano da banche e assicurazioni che avevano accantonato dei miliardini, grazie al ministro pastorello che ha tenuto i conti in ordine e che dice “ho venduto questa merce alle agenzie di rating”.

 

Pagano le banche, sì, ma “volontariamente” e Meloni le copre di lodi, perché, dice, “la manovra è seria, abbiamo lavorato con serenità” non c’è stato l’esproprio da Urss ma “consapevolezza”. Si rivolge a Tony Tajani (era lui a dire “non siamo l’Urss”) e lo accarezza: “Capisco il principìo culturale di Forza Italia”. Si aumenta l’Irap agli istituti di credito che Meloni definisce tecnicamente “portatori d’interesse”, portatori da cui “non temo contraccolpi”. Interviene Giorgetti che Meloni lascia in sala “come ostaggio” (sembra l’Isacco della Bibbia: Salvini dà a Giorgetti una pacca sulle spalle, Meloni gli augura “buona fortuna”) e il ministro pastorello precisa che “la misura sarà sopportabile per le banche”. Prima, in Cdm, si consuma il duello, “dammi un po’ di soldi in più”, fra Giorgetti e il collega Valditara. L’altro ministro Zangrillo è un altro gazatissimo perché è primo al traguardo del malloppo (vengono tagliati dal cinque all’un per cento le tasse sui premi di produttività dei dipendenti pubblici). In sala, durante la conferenza, appare il cigno di stato, Daria Perrotta con il suo cerchietto da fiaba e una paccata di carte in mano. In uno di quei fogli c’è l’articolo, il 138. Titolo: “Oneri per i servizi di soccorso resi dal Corpo della Guardia di Finanza” dove si recita che chi è causa del suo mal, in montagna (gli escursionisti ciabattoni e imprudenti) va salvato, soccorso, ma poi deve versare un corrispettivo al Mef. Va bene, ora vi raccontiamo il concilio Meloniano II, la “comunione” fra Meloni Madonna della Garbatella e Messina, l’ad di Intesa.

 

L’aiuto delle banche, l’opera di convinzione, sussurra un Trovator dell’economia, un grande esperto, che ha la penna calda come il Sole, “è tutta opera del viceministro Leo e del suo capo di gabinetto Italo Volpe. L’altro giocatore è stato Marco Rottigni, il direttore generale dell’Abi, un altro campione che ha lavorato in Intesa, con Messina”. E’ stata la mano di Carlo (Messina). Nelle ore decisive, quando Salvini inizia a malmenare le banche, a intimargli “pagate”, Meloni chiama Messina, il banchiere patriota, il banchiere che con la sua Intesa ha finanziato il giovane Sinner, Paolini, il tennis che fa grande il paese nel mondo. Cosa sarebbe oggi l’Italia senza la Cariplo, la Comit, Intesa, senza i prestiti d’onore agli studenti? Il secondo creditore dello stato italiano, dopo la Bce, è Intesa il forziere dei titoli di stato. E’ una telefonata da italiani. Messina ricorda il ruolo che hanno svolto le banche durante il Covid, Meloni gli dice che non c’è nessun furore ideologico. Messina apprezza, Meloni è attenta, perché “non vuole punire l’utile”. Si scontrano due bisogni, quello di governo, di Meloni, che ricorda alle banche la fortuna della stabilità, i suoi conti in ordine, dall’altra, spiega Rottigni a Leo, il sahariano Leo, che una tassa eccessiva rischia di danneggiare le riserve delle banche, di impattare sulla liquidità. Si trova il compromesso e saranno le banche a decidere quanto denaro liberare, destinare allo stato, oltre all’Irap che il governo gli aumenta. In conferenza stampa, Meloni cita Nietzsche: “Amo colui che mantiene più di quanto ha promesso” e si riferisce alla sanità. In prima fila la ascolta Alfredo Mantovano, Mantofiore. Non c’è il ministro Guido Crosetto che soffre per questa manovra. Da tre anni cerca in tutti i modi di avvisare gli italiani che difendersi non è spendere denaro in polvere da sparo. Cosa accade se viene sabotata una centrale elettrica, se saltano i server dell’Inps? Viene destinato in manovra 1 miliardo per la difesa, poco, ma c’è da rispettare l’impegno con la Nato: portare la spesa militare, entro il 2035 al 3,5 per cento, passare da 30 a 42 miliardi. Dicono i generali italiani, e non alla Vannacci: “Corriamo il rischio di consegnare l’Europa a Putin e di fargliela trovare con i conti in ordine”. Ce la prendiamo con le banche, vogliamo la sicurezza con le cambiali, la pace è solo fiscale. Trump? Ci pignorerà il Colosseo.

 

  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio