
Giorgia Meloni con Giancarlo Giorgetti (foto Ansa)
l'editoriale del direttore
Meno pro Pal, più pro Pil
Fare polemiche sulle bandierine è facile, occuparsi di realtà lo è un po’ meno. La crescita è un grosso guaio, ma né la destra né la sinistra hanno il coraggio di parlarne. Perché? Indagine su un dramma rimosso della politica italiana
Essere pro Pal è semplice, essere pro pil lo è un po’ meno. Nel dibattito pubblico italiano c’è una parola molto importante che ormai da tempo è sparita come per magia dai radar dei principali partiti italiani. E’ una parola chiave, cruciale, dolorosa, che per varie ragioni né il centrodestra né il centrosinistra hanno il coraggio di usare e neppure di evocare. Quella parola si chiama crescita, si chiama pil, si chiama capacità dell’Italia di creare benessere, di generare ricchezza, e le ragioni per cui né le forze della maggioranza né tantomeno quelle dell’opposizione hanno il coraggio di concentrarsi su questi temi sono tanto evidenti quanto sconfortanti: parlare di pil, dei suoi problemi, costringerebbe tutti a parlare di realtà e quando si parla di economia in modo non superficiale a voler scappare dalla realtà sono purtroppo buona parte delle forze che si trovano nella maggioranza e buona parte delle forze che si trovano all’opposizione. Il pil italiano, per chi non se ne fosse accorto, è tornato a essere un problema grave per il nostro paese, per una serie di ragioni che meritano di essere messe in fila. Nel 2025, l’Area euro crescerà dell’1,2 per cento, mentre l’Italia, secondo le stime di Fondo monetario internazionale, Istat e Banca d’Italia, crescerà intorno allo 0,5 per cento, con una percentuale che si trova nella parte più bassa della classifica europea.
Il governo, naturalmente, quando parla di economia parla solo di spread, di interessi sui titoli di stato, di investimenti attratti nel paese. Non parla invece di pil perché parlare di crescita significherebbe dover spiegare l’inspiegabile: come fa un governo che ha potuto gestire 192 miliardi di Pnrr e che ha potuto godere di una stabilità che nessun altro governo ha avuto nella storia recente del nostro paese e che ha potuto beneficiare di una conflittualità politica tutto sommato contenuta a non aver trovato una sola strada per costruire un piano sulla crescita degno di questo nome. Tra i dolori del governo, quando si parla di pil, ve ne sono anche degli altri, legati anche a un altro guaio che Meloni in questi anni non è riuscita a gestire.
Le stime relative all’impatto che il Pnrr avrebbe dovuto avere sulla crescita italiana prevedevano un pil aggiuntivo a quello naturale pari a circa l’un per cento ogni anno. Nel 2024, l’Italia è cresciuta dello 0,7. Nel 2025, crescerà intorno allo 0,5. Nel 2026, è previsto che crescerà intorno allo 0,8. Significa che senza Pnrr la crescita dell’Italia sarebbe stata sotto zero. Significa che anche quello che l’Italia avrebbe potuto generare in termini di benessere attraverso il Pnrr non è stato creato (a fine 2025, i soldi spesi del Pnrr saranno stati 100 miliardi, il che significa che in un anno solo, il 2026, l’Italia dovrebbe riuscire a spendere quello che ha speso a malapena nei quattro anni successivi). Il governo italiano tende a nascondere ogni dibattito sulla crescita per timore di dover affrontare un tasto doloroso, un dato che non va, ma anche per paura di essere costretto a trovare chiavi originali, che al momento non ha, per parlare in modo non demagogico su come creare ricchezza e benessere.
Da quando il governo Meloni è entrato in carica, non è mai stato creato un piano per la crescita all’altezza di questo nome, e i risultati si vedono. Da quando il governo Meloni è entrato in carica, non è mai stata creata un’occasione per mettere insieme i più grandi imprenditori mondiali, per offrire loro ragioni per investire nel nostro paese. Da quando il governo Meloni è entrato in carica, non è stata creata una sola misura degna di questo nome in grado di offrire alle imprese italiane sostegni per investire in innovazione. Da quando il governo Meloni è entrato in carica, non è stata creata una sola occasione, degna di questo nome, per trovare una via d’uscita alla crisi dell’automotive, via diversa dalla semplice e ursiana evocazione del milione di auto da vendere ogni anno, con la sola imposizione delle mani e con il solo uso della magia politica. La crescita italiana è il vero baco del governo Meloni e l’assenza del tema dal dibattito pubblico la si spiega però non solo per gli imbarazzi del governo ma anche per gli imbarazzi dell’opposizione. Il campo largo, quello che guida la coalizione, tende a evadere il tema della crescita perché ragionare su come stimolare la crescita significherebbe per la sinistra dover parlare di tutta una serie di tematiche che la sinistra a trazione gruppettara ha scelto di mettere da parte: politiche per la produttività, provvedimenti a favore della concorrenza, attenzione alla creazione di benessere e non solo alla sua redistribuzione. L’Italia non cresce perché la prudenza del governo senza politiche per la crescita rischia di diventare pericolosamente sempre di più sinonimo di inerzia. O peggio ancora. Più che inerzia, forse protezione, nell’accezione peggiore che possa avere questo termine, nel senso di voler ostacolare qualunque cambiamento, nel senso di voler negare il fatto che la crescita nasce dall’innovazione, come hanno ricordato nei loro lavori i tre studiosi che hanno vinto pochi giorni fa il Nobel per l’Economia, Joel Mokyr, Philippe Aghion e Peter Howitt, e se non accetti il cambiamento non c’è innovazione e non c’è neanche crescita. D’altro canto, l’Italia non cresce anche perché l’opposizione ha scelto in modo irresponsabile di creare un’alternativa alla maggioranza di governo restando sulla superficie, senza sporcarsi le mani, sventolando le bandierine, giocando con il pilota automatico della sinistra modello Schlein-Gpt. E se si vuole schivare la realtà, occuparsi di assecondare i pro Pal è decisamente più facile che trovare un modo di stimolare i pro pil.
