Eugenio Giani durante la conferenza stampa per la vittoria alle elezioni regionali in Toscana (foto Ansa)

l'editoriale del direttore

Il filo delle regionali è il trionfo dell'Italia anti moralista

Claudio Cerasa

Stop a Vannacci, gogna marginalizzata, demagogia respinta, grillismo abbattuto. Dalla Calabria alla Toscana, le elezioni restituiscono un’immagine del nostro paese che spesso sfugge al dibattito pubblico

Lo schema è ormai consolidato e funziona grosso modo così. Quando una coalizione vince un’elezione regionale, quella coalizione tende a trasformare quel voto locale in una lezione nazionale. E quando una coalizione perde un’elezione regionale, la coalizione sconfitta tende ovviamente a fare l’opposto: non è successo niente, è un voto locale, la prossima volta ci rifaremo, il vento è sempre dalla parte giusta del paese, cioè la nostra. Se si vuole davvero provare a giocare con le regionali, però, sia quelle che si sono già disputate sia quelle che si devono ancora disputare, non si farà fatica a trovare un filo conduttore più credibile, persino formidabile, che è il risultato di una serie di dettagli che si possono facilmente mettere insieme e che ci restituisce un’immagine del nostro paese che spesso sfugge al dibattito pubblico: il trionfo dell’Italia anti moralista.

   

Le elezioni toscane, da questo punto di vista, hanno offerto diverse ragioni per rintracciare impronte dell’Italia anti moralista. Ha vinto Eugenio Giani, intanto, che il campo largo ha candidato nonostante la contrarietà iniziale dei re del moralismo, ovvero il M5s. E nel campo largo, come se non bastasse, colui che ha ottenuto più preferenze di tutti è stato, a sorpresa, Matteo Biffoni, ex sindaco di Prato. Il boom di preferenze (22 mila) è interessante non solo perché dimostra che gli elettori sanno separare attività politica e questioni giudiziarie – Biffoni è indagato in una opaca inchiesta per omicidio colposo e disastro colposo per accuse risalenti a un’alluvione del 2023 – ma anche perché ha ottenuto cinque volte i consensi della candidata scelta da Schlein come capolista a Prato, Marta Logli, che durante la campagna elettorale non ha fatto fatica a definirsi, esplicitamente, “antisionista” (4 mila voti).

   

La Toscana, poi, è anche la regione in cui il flop di Vannacci, responsabile della campagna elettorale della Lega, arrivata al 4,5 per cento, ha offerto altre ragioni per aumentare il buon umore di chi sogna di avere una politica meno estremista. E prima della Toscana, poi, l’anti moralismo si è affermato in altri casi. In Calabria, per dire, dove ad aver vinto le elezioni è stato un candidato di centrodestra, Roberto Occhiuto, che si è dimesso a seguito di un’indagine a suo carico. La campagna giustizialista mossa contro di lui dal campo largo non ha avuto successo, e in fondo la Calabria non ha solo premiato Occhiuto ma, a proposito di moralismo, ha rifilato due sganassoni anche al modello Tridico, suo rivale, che ha provato a conquistare voti a colpi di reddito di cittadinanza e bollo auto gratis.

   

Prima della Calabria, ancora, è stato il caso delle Marche, dove il Pd prima ha dato prova di anti moralismo candidando un politico indagato, Matteo Ricci, sostenuto nonostante l’indagine a suo carico anche dal M5s, poi però, altra grande scena, i marchigiani non hanno abboccato alla vuota retorica pro Pal suggerita dal campo largo, che non ha trovato nulla di più originale da offrire agli elettori marchigiani di una promessa che davvero a sorpresa non ha trovato riscontro tra gli elettori: fregarsene degli ostaggi e dedicare il primo eventuale consiglio regionale delle Marche al riconoscimento della Palestina. Respinti con perdite anche qui.

   

E chissà che i prossimi mesi non ci regalino altre perle di anti moralismo da sballo, a partire per esempio da quella Campania, dominata dal formidabile anti moralista Vincenzo De Luca, costretto sì a sostenere il protogrillismo moralista di Roberto Fico, che Dio lo perdoni, ma in un quadro in cui l’ex presidente della Camera è costretto ogni giorno a ingoiare le richieste dello stesso De Luca: “Caro Fico, basta scemenze e demagogia”. Trarre lezioni dalle regionali non è mai semplice. Ma se c’è una cosa che ci insegnano queste regionali è qualcosa che somiglia all’apertura di una finestra su un’Italia che spesso non vogliamo vedere: quella dove il moralismo conta sempre meno e l’antimoralismo improvvisamente conta sempre di più. Speriamo che duri.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.