I dem in crisi d'identità?

Michele Serra e il Pd che oscilla su caso Albanese, ali estreme e striscioni violenti

"Non è facile essere il Pd", dice lo scrittore

Marianna Rizzini

"Qualunque forma non rozza e non demagogica di leadership", dice Serra, "in questo momento storico è in drammatica difficoltà. Ammesso che tu abbia ottime intenzioni, e abbia studiato bene il da farsi, come fai a ritagliarti attenzione e rispetto in mezzo a quella baraonda di slogan emotivi che è diventata la comunicazione politica?"

Che cosa dire, dal cuore del centrosinistra, a un Pd che – in alcune città amministrate da sindaci dem – regala cittadinanze onorarie alla relatrice speciale Onu per i territori palestinese occupati Francesca Albanese, colei che ha mostrato segni di insofferenza a sentir parlare di ostaggi e di Liliana Segre? C’è chi, come il professore emerito di Scienza Politica Gianfranco Pasquino, ha detto “basta, non vi voto più”. E chi, come il guru dem Goffredo Bettini (intervistato ieri dal Corriere), invita alla cautela: fosse un sindaco, Bettini non “solleciterebbe” la cittadinanza onoraria a un personaggio così divisivo. Ci sono poi i casi degli striscioni e degli slogan discutibili nei pur pacifici e partecipati cortei per la pace in Medio Oriente, con inseguimento (a volte) delle ali estreme della coalizione e con silenzio (altre volte) sulle uscite delle medesime. Non sarebbe il caso che il Pd, chiediamo a Michele Serra – giornalista, scrittore, autore storico della sinistra – avviasse una seria riflessione sulla sua “vicinanza” o fascinazione verso personalità che con la sua storia e il suo lessico non c’entrano nulla? “Non è facile essere il Pd”, dice Serra. “Il Pd ha una storia federativa, è nato per cercare di tenere insieme le diverse anime della sinistra storica e del riformismo cattolico e laico. Con Elly Schlein ha anche inglobato una cultura politica non più novecentesca, molto sensibile ai diritti delle persone e un poco meno vigile sulle questioni sociali, anche se con il salario minimo ci sta provando. Con queste premesse, chiedere al Pd anche di ‘dare la linea’, come il vecchio Pci di una volta, forse è troppo. Certo che il rischio, sorvolando su certi nodi o rimandando certi dibattiti, è sbiadire. Alla lunga, è l’insignificanza”. La sensazione, però, è che un certo schiacciamento sulle ali estreme ci sia. “A proposito di ‘ali estreme’ ”, dice Serra, “ci sono paletti oltre i quali il proprio territorio politico finisce e comincia quello degli altri. Il paletto ucraino, dentro il Pd, mi sembra solido e rispettato: è fuori dal Pd che vacilla il sostegno all’Ucraina, idem l’idea che l’Unione europea debba essere, volente o nolente, la principale protagonista mondiale della difesa della democrazia, del welfare e dei diritti umani. Se il Pd vuole allearsi con M5s e Avs, che contano tra il quindici e il venti per cento dell’elettorato votante, è costretto a fare i conti anche con chi pensa che l’Ucraina sia solo un impiccio, e non valga pena battersi per l’Europa. Non sono un politologo, ma immagino che l’alternativa sia puntare su un fronte centrista che comprenda anche quella strana edizione, molto italica, di ‘destra liberale’ che è il partito di Silvio Berlusconi. Sarebbe la via più diretta per ingrassare il partito, già stravincente, degli astensionisti. Non mi sembra una buona idea”. Ma la politica non dovrebbe avere un ruolo di guida, non solo di inseguimento di parole d’ordine che si pensa siano attrattive per l’elettorato? “Certo che dovrebbe. Ma qualunque forma non rozza e non demagogica di leadership, in questo momento storico (mi viene da dire qualunque forma di dialettica) è in drammatica difficoltà. Ammesso che tu abbia ottime intenzioni, e abbia studiato bene il da farsi, come fai a ritagliarti attenzione e rispetto in mezzo a quella baraonda di slogan emotivi che è diventata la comunicazione politica? Nei miserabili e ridicoli dieci secondi di una dichiarazione al telegiornale, come potrebbe un politico non dire cose miserabili e ridicole? Non saprei come uscire da questa palude, se facessi politica”. Chiediamo a Serra se vede un rischio di deriva populista a sinistra. “Esiste al punto che il populismo di sinistra ha già una storia quasi ventennale, quella dei Cinque stelle”, risponde, “e ha già toccato il suo apice nelle politiche del 2013. Ma la mia opinione personale è che gli anatemi servono a zero. Serve portare dentro la politica, i suoi problemi, la sua prassi, quelli che volevano aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno”. Il Pd è in crisi d’identità? “Non credo serva un’identità ideologica, il Novecento è finito da un pezzo. L’identità te la conquisti facendo e dicendo le cose in cui credi. Tassare di più i ricchi (non i benestanti, i ricchi, i grandi patrimoni) per salvare il welfare: ci credi o non ci credi? Interrompere la privatizzazione subdola della Sanità pubblica, vedi il modello lombardo, ci credi o non ci credi? Se ci credi devi dirlo, a costo di perdere i voti. Se sei serio e coerente, tornano indietro. Non domani, però: dopodomani. La politica, tutta intera, fa già fatica a pensare a domani, figurati a dopodomani”.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.