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Il pericolo "deriva Albanese"

Il Pd che vuol farsi alternativa ricordi la lezione della storia, dice Quartapelle

Il cedimento rispetto a un'idea di politica che non è più "argine e guida"

Marianna Rizzini

“Non è che si deve condannare l’antisemitismo per posizionamento politico, lo si deve condannare perché la storia insegna: quando cominciano a esserci elementi di forte antisemitismo nel dibattito pubblico, ne risente tutto il dibattito pubblico", dice la deputata del Pd

Seguire il movimentismo fino a farsi dettare l’agenda, ma al tempo stesso candidarsi come alternativi alla guida del paese: si può? Nel centrosinistra, in questi giorni, la domanda aleggia sottotraccia, specie all’interno del Pd, il maggiore partito di opposizione al cui interno ci si comincia a interrogare sul pericolo di cedere alla semplificazione e alla cosiddetta “deriva Albanese”, dal nome della relatrice speciale Onu per i territori palestinesi occupati che ha abbandonato una trasmissione tv dopo che un ospite ha citato Liliana Segre, non prima di essersi risentita con il sindaco dem di Reggio Emilia, reo di aver invocato, oltre alla fine del “genocidio”, la “liberazione degli ostaggi”.

Candidarsi a governare nell’ambiguità su alcuni temi fondamentali e senza bloccare sul nascere derive agghiaccianti, si può? Giriamo la domanda a Lia Quartapelle, deputata della minoranza riformista del Pd che — con sette colleghi dem, Italia viva e Azione — ha votato il testo della maggioranza a favore del piano di pace americano, lavorando al contempo perché il resto dell’opposizione non votasse contro. “Non sovrapporrei un elemento di tattica elettorale con una questione legata alla qualità stessa della vita democratica italiana”, dice Quartapelle: “Non è che si deve condannare l’antisemitismo per posizionamento politico, lo si deve condannare perché la storia insegna: quando cominciano a esserci elementi di forte antisemitismo nel dibattito pubblico, ne risente tutto il dibattito pubblico, ed è compito della parte politica da cui provengono i suddetti segnali preoccupanti farlo notare. Che cosa avremmo detto, noi, se gli striscioni aberranti fossero comparsi durante una conferenza di FdI?”. Il Pd affonda le sue radici nella storia repubblicana, perché sembra fare così fatica a dire “questa cosa con noi proprio non c’entra”? “Il problema riguarda tutto il centrosinistra, ma se ci si riconosce nella Costituzione repubblicana si sa che la nostra Carta nasce sulle ceneri di un passato sanguinoso, e si deve imparare dalla storia”. Il Pd è il primo partito della coalizione che si candida a essere alternativa a questo governo. Ma, di nuovo, se non ci si dissocia da alcune prese di posizione estreme, come si fa a essere davvero alternativa? “Il problema non è essere alternativa. E’, ancora prima, essere credibili nel difendere la Costituzione e la democrazia italiana”. Una parte dell’elettorato dem è a disagio, di fronte a questo cedimento a una sorta di agenda esterna. “E’ un cedimento rispetto a un’idea di politica che non svolge più la sua funzione di guida e di argine e che, essendo in caduta libera, scivola anche in termini di popolarità, come abbiamo visto in Calabria, dopo aver preso la scorciatoia dell’affiancamento a questa o a quell’ondata emotiva. La sinistra, in questo momento, lo fa sulle piazze per Gaza, la destra su altri temi, ma con altrettanta incapacità di guidare i processi”. C’è un antidoto? “Ci sono voci coraggiose, a sinistra”, dice Quartapelle, e non soltanto nella minoranza pd: per esempio Gianni Cuperlo, con il suo lavoro sulla memoria, e Oliviero Diliberto, con la lettera ai suoi colleghi della Sapienza sui boicottaggi. Bisogna prendere la parola, spiegare per esempio a chi ha usato senza consapevolezza lo slogan ‘Palestina libera dal fiume al mare’ che quelle parole presuppongono la cancellazione di Israele”. E’ così difficile condannare le derive che proliferano tra web e piazza? “E’ un problema della democrazia italiana nel suo complesso, e negli ultimi quindici-vent’anni, da quando cioè i partiti sono stati distrutti. E’ venuta meno la funzione della politica: ragionare, discernere, spiegare. Una perdita di autorevolezza che diventa circolo vizioso”. Le urne neppure premiano. “Perdi autorevolezza, non ti senti più in grado di prendere posizioni più articolate rispetto alla vulgata del bar, con tutto il rispetto per il bar, e scivoli ancora più in basso”. Ci sono momenti in cui ci sarebbe però occasione per far fare uno scatto al proprio elettorato, per esempio sul piano di pace americano. “Sono contenta infatti che, pur dopo una discussione vivace, sia arrivato intanto in Parlamento, dal centrosinistra, un voto di astensione sulla mozione del governo. Non succede spesso”. 

 

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.