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L'editoriale del direttore
Come ti svuoto la sinistra di governo
Indifferenza per le regionali, sottomissione al modello Albanese, battaglie regalate alla destra e il “presentismo”. Il Pd è ostaggio delle sue bandierine. Indagine breve su un’alternativa con vocazione all’autodistruzione
È difficile metterlo a fuoco ma se si presta un minimo di attenzione lo si vedrà con una certa semplicità. Tema: esiste o no un filo rosso che collega i cortocircuiti a sinistra attorno al caso di Francesca Albanese, le sconfitte alle regionali del campo largo in formato campo letargo e la ormai ostinata vocazione minoritaria del Pd? Le storie sono diverse, e apparentemente scollegate, ma al centro di queste storie c’è un tratto comune che riguarda un fenomeno che sembra inesorabile: la progressiva e inarrestabile distruzione o meglio autodistruzione di un partito con una cultura di governo, ovvero il Pd. Nelle storie che abbiamo messo insieme, se ci si riflette un istante, c’è un filo conduttore ricorrente, che è quello che riguarda il tentativo, disperato, da parte del campo largo, in versione campo letargo, di trovare un qualche contenuto per riempire il proprio contenitore. Il contenitore è quello dell’alternativa alla destra, la destra fascista, la stessa che poi salva Ilaria Salis dal fascismo orbaniano, ma i creatori del contenitore faticano maledettamente a trovare un qualche ingrediente originale per dare un senso al proprio contenuto. E così di volta in volta il centrosinistra è costretto a trovare bandierine da sventolare, per segnalare una posizione, per segnalare una propria identità, per segnalare una propria idea di mondo.
Un giorno la bandierina si chiama Francesca Albanese, impegnata a spiegare all’Italia perché Liliana Segre sul tema del genocidio non è lucida, a causa di un coinvolgimento emotivo che non la renderebbe credibile sui temi della guerra a Gaza (seguendo questo ragionamento, anche il processo a Eichmann, a rigore, non sarebbe stato credibile: troppi ebrei coinvolti, troppa memoria, troppa umanità). Un altro giorno la bandierina si chiama Gaza (e guai a parlare di ostaggi). Un altro giorno la bandierina si chiama antifascismo (e chi dice che la destra non è fascista è un fascista). Le bandierine, quando sventolano, possono aiutare a segnalare una posizione. Ma quando le bandierine vengono travolte dal vento di solito a essere travolto non è solo lo sbandieratore ma è anche chi ha trasformato quello sventolio in un tratto non negoziabile della propria identità.
La sinistra incapace di ribellarsi al modello Albanese è la stessa sinistra che sceglie di abbracciare una narrazione manipolatoria della tragedia di Gaza per paura di indispettire una parte del proprio elettorato, arrivando al punto di non difendere un proprio sindaco insultato dalla stessa Albanese, sindaco reo di aver parlato di ostaggi, pur di non essere investiti dai troll antifa. E la sinistra che sceglie di parlare a uno spicchio del proprio mondo è la stessa sinistra che in nome della vocazione minoritaria si accontenta di quello che ha. Si accontenta degli elettori che ha, per cominciare. Si accontenta delle regioni che ha, per continuare. Si accontenta di restare nel perimetro delle proprie certezze per paura di mettersi alla prova, per paura di cercare di conquistare un pezzo di elettorato più grande rispetto a quello che si ha già. Giuliano Amato, ex premier, ex presidente della Corte costituzionale sostiene che la sinistra italiana, quella che gravita attorno al campo largo, sia “malata di presentismo”. Dove per presentismo si intende un concetto semplice: il desiderio costante di assecondare gli algoritmi del presente, ovvero l’istantaneità, senza preoccuparsi di costruire un futuro, senza preoccuparsi di come riempire il contenitore, senza preoccuparsi di trovare un modo diverso dall’interpretare, dall’opposizione, una parte diversa dalla politica del galleggiamento. Senza preoccuparsi, in definitiva, di aver regalato alla destra anche battaglie di destra. Senza rendersi conto, in altre parole, di aver permesso a Meloni di trasformare la politica dell’ordinario in qualcosa di straordinario.
L’incapacità di reagire alla piattaforma Albanese e la soddisfazione dall’avere guadagnato nelle Marche e in Calabria uno zero virgola rispetto alle elezioni precedenti sono parte dello stesso film: la vocazione minoritaria del Pd. Certo. E’ possibile che le prossime regionali, quelle della Toscana, della Campania e della Puglia, cancellino, almeno in parte, le delusioni delle regionali della Calabria e delle Marche, anche se cancellare il trend del nove a tre delle regionali tra Schlein e Meloni non sarà facile. Ma quello che il centrosinistra non potrà cancellare è la fatica a comprendere un concetto semplice: affidarsi alle bandierine, come Albanese, e non riuscire a essere percepito come competitivo in territori in cui non si ha una rendita di posizione consolidata sono due fenomeni figli di uno stesso problema: la predisposizione naturale del campo largo a muoversi sempre meno come forza di governo, sempre più come forza di lotta e sempre meno come forza in grado di combattere il presentismo opponendo all’algoritmo dell’istantaneità un’idea di futuro. Essere ostaggi delle fatwe di una Francesca Albanese, incapace anche il 7 ottobre di nominare la parola “Hamas”, e considerare tutto sommato non preoccupanti le sconfitte che avvengono in regioni governate dagli avversari sono tutte facce della stessa medaglia: la distruzione progressiva della sinistra come forza di governo in grado di parlare non solo ai propri follower ma anche, magari solo per un istante, al resto dell’Italia.