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il commento

Lo spettro degli anni Settanta e l'errore della sinistra che si affida all'antagonismo

Luigi Marattin

La situazione si ripete: una minoranza rumorosa utilizza un conflitto armato internazionale in cui sia possibile usare la narrazione del "grosso" contro il "piccolo" per affermare un approccio antagonista in politica interna. Si fornisce così un'immagine distorta della società italiana

Dal punto di vista generale, non sta succedendo niente di nuovo: proprio come negli anni Settanta, una minoranza rumorosa utilizza un conflitto armato internazionale in cui sia possibile usare la narrazione del “grosso” contro il “piccolo” (all’epoca era il Vietnam, oggi Gaza) per affermare un approccio antagonista in politica interna. Così facendo fornisce un’immagine distorta (e non veritiera) della società italiana. Che non ha niente – ma proprio niente – a che fare con chi in un teatro fischia un sindaco perché chiede il rilascio degli ostaggi israeliani, o con un gruppo di squadristi che irrompe in un’aula universitaria per aggredire un professore considerato “vicino agli ebrei”. O con gli eccessi verbali e ideologici con cui, in generale, si affronta la tragedia mediorientale.

Ma le somiglianze tra oggi e allora si fermano qui. Nel bene e nel male. Nel bene perché all’epoca la violenza era incommensurabilmente maggiore: ci si sparava persino per strada, cosa che per fortuna oggi sembra fantascienza. Nel male perché all’epoca il sistema politico fu in grado di prendere le distanze dall’antagonismo rinunciando alla tentazione di sfruttarlo a fini elettorali: con ogni probabilità all’epoca una come la Albanese il Pci difficilmente l’avrebbe candidata in un consiglio circoscrizionale: oggi, il Pd si genuflette a lei e a quelli come lei, accettando anche di assistere all’umiliazione pubblica del sindaco di una delle sue città-simbolo. Così come i partiti di governo di allora riuscirono a smontare la rabbia sociale (anche se, va detto, accumulando il secondo debito pubblico più alto del Pianeta Terra). Oggi invece la sinistra si affida interamente a quell’antagonismo minoritario, e la destra si limita a irriderlo, senza preoccuparsi di dare vera ed effettiva rappresentanza politica alla “maggioranza silenziosa” che in silenzio, e in difficoltà, manda avanti il paese.

All’epoca ci furono occasioni, anch’esse simboliche, in cui la maggioranza silenziosa si fece sentire: pensiamo alla “marcia dei 40 mila” a Torino nel 1980. Oggi, temo, quella maggioranza silenziosa – priva di rappresentanza politica – rischia di scivolare silenziosamente verso il populismo di destra, risposta sterile e pericolosa al populismo di sinistra: è quello che sta avvenendo – destrutturando completamente quei sistemi politici dopo decenni di stabilità – in Francia, in Gran Bretagna, in Germania, negli Stati Uniti. Se capiterà o meno anche in Italia, o se invece riusciremo a strutturare un sistema di rappresentanza politica più efficace, stabile e sicuro – lo appureremo nei 18 mesi o poco più che ci separano dalle prossime elezioni politiche.

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