ANSA

l'editoriale dell'elefantino

La macchia che resterà sulla stupidità umanitaria

Giuliano Ferrara

Vedevano solo l’orrore delle vittime civili, non che i civili erano esposti come scudi umani a difesa dei predoni. Non hanno fatto uno sciopero per la liberazione degli ostaggi, mentre per loro si accendeva una speranza. Hanno preferito la gita antisemita dal fiume al mare
 

Venerdì scorso la piazza giovanile (non ti fidare di chi ha meno di trent’anni, ha scritto un meraviglioso Francesco Merlo) era all’assalto umanitario di Israele in questo disgraziato paese che è l’Italia, ma non solo, basta pensare a Manchester e a Londra; e gli onorevoli flottiglieri dal fiume al mare, pendagli da gnagnera privati dell’acqua panna da quei cattivoni dell’Idf, si imbarcavano su un volo per Roma tra le pernacchie dei passeggeri ebrei-israeliani, e perfino della hostess, che si domandavano come mai non tornassero a nuoto, intonando Am Israel Chai, Israele vive; nel frattempo Hamas si dichiarava disposta a rilasciare gli ostaggi imprigionati e torturati per due anni dopo essere stati rapiti dai kibbutz in quanto ebrei e infilati nei sotterranei della fortezza del terrore protetta dalla popolazione civile, e i capi della coalizione che ha piegato i terroristi, Trump e Netanyahu, davano ordine all’esercito di trasformare l’accerchiamento dei banditi da offensivo a difensivo, per consentire il primo passo di un piano di pacificazione e stabilizzazione che ha il consenso di Abu Mazen, dell’emiro del Qatar (a cui la lezione è servita), dei Sauditi, dei turchi, degli egiziani, dei giordani, dei musulmani indonesiani, di altri arabi sunniti, degli abitanti di Gaza, evacuati dai genocidari e non, con l’eccezione e il dissenso astensionista di Khamenei e Bersani e armocromisti vari.

 

Questa la situazione politico-morale del weekend lungo. Al disprezzo indifferente verso la sorte degli ostaggi esibito in piazza faceva da contrappasso la passioncella lugubre di impartire lezioni a gente incarcerata del ministro Ben Gvir, mentre l’opposizione di centro e di sinistra a Tel Aviv e a Gerusalemme si metteva a disposizione di Netanyahu per consentire che le cose andassero per il verso giusto e che Hamas procedesse dal rilascio di quei poveri resti della sua crudeltà al disarmo, cosa ancora tutta da verificare mentre scrivo di sabato mattina. Vedremo come andrà a finire. Adesso quelli che hanno eccitato e organizzato i cortei in cui si è gridato fuori i sionisti da Israele e uccidere un sionista non è reato, quelli che si sono fatti dare bacchettate da personalità insigni del demi monde fiancheggiatore di Hamas, capaci di perdonarli per aver chiesto la liberazione degli ostaggi, che sarebbe un insulto alla Palestina libera dal fiume al mare, avrebbero modo di riflettere sul confine superato tra civiltà e barbarie, il confine che in un bel libro di storia di Raffaele Romanelli (Laterza editore) è definito come “postoccidente”. Avrebbero. Potrebbero cominciare a ragionare invece di ingarbugliare le cose e gli argomenti, invece di trovare nuovi pretesti per portare la solidarietà simbolica a Gaza, molti titoli e screenshot e un pacchettino di latte in polvere, invece di ripetere la litania obnubilante e oscena del genocidio, e Anna Foa dovrebbe mettersi a piangere la stupidità del suo libello da premio Strega.

 

Il suicidio di Israele, che belinata. Il genocidio, che turlupinatura buona per intellettuali sragionanti e per l’entusiasmo narcisistico delle folle che gli vanno appresso. Vedevano solo l’orrore delle vittime civili dei combattimenti, la disperazione e il massacro di donne vecchi e bambini, ma non volevano vedere che i civili erano esposti come scudi umani a difesa dei predoni rapitori e torturatori dei tunnel, vedevano gli errori e le porcate che accompagnano tutte le guerre, cose che erano sotto gli occhi di tutti tutti i giorni a tutte le ore, ma non vedevano le ragioni profonde di un paese e di una comunità viva che si difendono, che contrattaccano all’indomani di un pogrom, che devono battersi su sette fronti, compreso uno infestato dal nucleare di mullah, che costruiscono con la durezza e il coraggio necessari le condizioni per la vittoria del bene sul male, che non è un concetto etico ma un risultato politico, essendo la politica, anche in una guerra così spietata e in sé intollerabile, la più alta forma di carità. Queste ragioni erano affidate all’informazione di minoranza, mentre il mainstream mediatico aveva nelle vele il vento floscio della Flotilla, la grande pagliacciata. Non hanno fatto uno sciopero o una manifestazione per la liberazione degli ostaggi dai loro luoghi di tortura, mentre dall’assedio armatissimo e liberissimo e dalla grande politica veniva una speranza per loro, hanno preferito la gita antisemita dal fiume al mare, e questo rimarrà per molto tempo come una macchia sulla loro presunta sensibilità morale.

 

 

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.