
Ansa
La sinistra e la pace
Verini (Pd) spiega il voto a favore della mozione renziana sul piano Trump: "Bisogna dare un segnale"
“Sarebbe stato un buon giorno per il paese se l'intero Parlamento, magari su un punto specifico, avesse votato compatto", dice il senatore dem. "Dobbiamo mantenere un atteggiamento che permetta di andare verso la soluzione 'due popoli e due stati'"
Il senatore pd Walter Verini è uno dei quattro senatori e quattro deputati dem che giovedì scorso ha votato a favore della mozione di Italia Viva sul piano di pace di Trump per Gaza, approvata anche dalla maggioranza. Il Pd invece si è astenuto. Il momento è complicato, e su temi come pace e guerra, sembra dire il voto a favore di Verini e degli altri, la sostanza deve prevalere su schieramenti e alleanze.
“Io avrei votato anche la risoluzione di Carlo Calenda, fosse stata messa ai voti”, dice il senatore, “e avrei voluto che anche Calenda e Renzi votassero – cosa che poi uno ha fatto e l'altro no – la mozione a firma Avs, perché a mio avviso si doveva dare, su un tema come questo, pur nelle evidenti differenze su alcuni punti, un segnale globale di intesa”. Non solo, dice Verini: “Sarebbe stato importante se le opposizioni, tutte insieme, avessero sgombrato il campo da alcune strumentalità del governo. E sarebbe stato un buon giorno per il paese se l'intero Parlamento, magari su un punto specifico, avesse votato compatto, per quanto possano essere politicamente ripugnanti i comportamenti quotidiani di Trump e Netanyahu. Mi sarei insomma allineato alla posizione che hanno espresso il sindaco di Gaza, il Papa, molti leader progressisti europei e non europei e i paesi arabi”.
C'è insomma un momento, dice Verini, “in cui, se si crea uno spiraglio, si va, si coglie e si lavora perché quello spiraglio, pur con il suo carico di enormi criticità, possa diventare qualcosa di più”. Ma il senatore dem ha un timore: “Che la presidente del Consiglio, al di là di qualche auspicio verbale, non avesse questa intenzione, alla luce delle dichiarazioni fatte nella giornata del voto, e questo conferma che Meloni, cui pure si riconosce capacità e abilità, non riesce ancora a indossare pienamente l'abito della statista con senso dello stato, e a dismettere definitivamente quello dell'attivista di Colle Oppio. Un motivo in più e non in meno, questo, per opporsi alla radicalizzazione, per le opposizioni e per i partiti che, come il Pd, abbiano inscritto nel proprio dna il senso dello stato, dell'interesse generale e delle istituzioni. Avremmo potuto, unendoci sul voto al piano di pace, mettere a nudo certe strumentalità di Giorgia Meloni – che ha avuto un comportamento a mio avviso diverso da quello dialogante del ministro Guido Crosetto”.
Gli otto parlamentari dem hanno dato un segnale, e adesso? “Il Pd si è astenuto, ma c'era chi, nel centrosinistra, avrebbe preferito votare contro la mozione governativa. E chi, nel Pd, ci fosse stato un clima diverso, avrebbe invece votato a favore. Ma è positivo che altre forze dell'opposizione non siano arrivate a votare contro, anche grazie all'opera di mediazione dell'ex ministro dem Beppe Provenzano e della segretaria Elly Schlein”. Fa ben sperare, poi, per il futuro, dice Verini “il fatto di vedere in piazza migliaia di giovani, giovani che in questi giorni hanno abbandonato le loro stanze e i loro computer per un ideale. E allora però tu, presidente del Consiglio, mi viene da dire, non puoi sbeffeggiare chi manifesta o chi perde una giornata per fare sciopero. Perché non puoi pensare che questa piazza possa avere degli ideali? Perché tutto quello che è partecipazione è visto con fastidio, come fosse meglio, piuttosto, l'individualismo egoista? Detto questo, è bello vedere le piazze piene, ma dobbiamo stare attenti a isolare quelli che dicono 'blocchiamo tutto' perché trasformano cause giuste in cause impopolari, per non parlare di chi, in queste manifestazioni, usa la violenza”.
La sfida per conciliare partecipazione emotiva e razionalità è complessa. “Dobbiamo cercare di tenere insieme questi due registri: stare nelle piazze ma pacificamente, senza colpire gli interessi dei pendolari e del popolo – che anzi vanno coinvolti – al tempo stesso evitando il rischio di far deflagrare la violenza che può annidarsi nei cortei. Tutto questo cercando di mantenere un atteggiamento che permetta di andare verso la soluzione 'due popoli e due stati'".