Ansa

Una partita vinta bene

Miracolo a Milano. La buona politica vuole il nuovo stadio

Maurizio Crippa

Il voto bipartisasn del Comune sul Meazza. Un progetto iconico di una giunta di sinistra riformista, che rischiava di essere affossato dal "brutalismo" delle opposizioni interne  (ma anche dal populismo di Lega e Fdi) e dal clima tossico creato dalle inchieste urbanistiche della magistratura. Invece lo stadio nuovo si farà, Milano è un po' più europea

Miracolo a Milano. Quando tutto sembrava quasi perduto, nella notte in cui tutti gli emendamenti sono neri (239, per una delibera arrivata in aula in zona Cesarini) e in cui la maggioranza di Beppe Sala perdeva più calcinacci del terzo anello di San Siro, ecco il colpo di reni. Volando in alto come le scope di De Sica sopra la Madonnina, la politica del buon senso bipartisan e del modello Milano inteso come trasformazione, investimento e crescita della città ce l’ha fatta. Lo stadio Meazza passerà dal comune alle società di Inter e Milan, per la cifra di 197 milioni (ok il prezzo è giusto: lo ha stabilito l’Agenzia delle entrate, nonostante le accuse di danno erariale, smentite dagli analisti, su cui però la procura aveva aperto un “modello 45”, quello riservato agli “atti non costituenti notizie di reato” o alle denunce dei lunatici). Il resto sarà un lungo iter – complesso e tormentato, questo già si sa – di investimento, accordi al millimetro e rigenerazione urbana, un’operazione da 1,2 miliardi che cambierà non solo il rito del calcio milanese ma anche un’area al momento degradata. “Abbiamo provato a scrivere una pagina nuova, e siamo solo all’inizio”, ha detto la vicesindaca Anna Scavuzzo, che ha tolto per Sala le castagne dal fuoco mediando dentro al Pd. C’è soddisfazione, ha detto, “rispetto alla prospettiva di trasformare l’area di San Siro, su cui c’era preoccupazione per un futuro incerto”. Del resto Letizia Moratti, ex sindaca e autorevole voce di Forza Italia, che ha dato una spinta decisiva, aveva ben spiegato il concetto: “Il nostro obiettivo è garantire sviluppo, rigenerazione urbana, sostenere l’occupazione e promuovere un rilancio urbanistico”.

Miracolo a Milano. Un’amministrazione nata nel segno del riformismo progressista, ma quasi travolta negli ultimi anni proprio sulle grandi scelte di trasformazione urbana, picconata al suo interno dalla minoranza leftist e brutalizzata dalle inchieste di procura, ha ritrovato il guizzo per dire sì all’operazione, se non più importante, certo la più iconica del secondo mandato Sala. E ha battuto, ai punti, la politica fatta di niet, di ideologia, di rifiuti aprioristici di Verdi, sinistra, gruppettari e comitati che hanno fatto della battaglia contro il nuovo stadio la punta di diamante di una visione puramente distruttiva. Miracolo a Milano. Il vecchio stadio di San Siro, così brutto che nemmeno le Belle arti hanno avuto il coraggio di definirlo brutalista, sarà abbattuto. Ne resterà un moncherino, una parte dell’anello trasformato in anfiteatro, e non si capisce nemmeno bene il perché. Di brutalista a Milano c’è solo un’opposizione siffatta, una flotilla bipartisan (Lega e Fratelli d’Italia uniti ai Verdi pur di scalzare Sala, non proprio una grande visione) e certi atteggiamenti della procura. Ma a finire brutalizzata, per una volta, è la loro parte. La sconfitta è pesante: “La maggioranza green uscita dalle urne non c’è più”, ha ammesso come Jacopo Ortis il verde Carlo Monguzzi: il sacrificio dello stadio nostro è consumato. Però ha aggiunto minaccioso: “Vittoria di Pirro, ricorreremo alla giustizia amministrativa e contabile”, tanto per far capire qual è il pilastro su cui poggia la visione dei difensori dello status quo calcistico milanese. Secondo la visione dell’opposizione interna al sindaco e alla giunta tutto si tiene, la “lobby dei grattacieli”, il Leonka, il turboliberismo. Alla destra invece basta il piccolo cabotaggio del No Sala.

“Nel dibattito non ci si è mai concentrati sul danno ambientale e sulla salute dei cittadini”, ha detto Francesca Cucchiara dei Verdi, che forse non ha mai visto cosa sia la giungla d’asfalto che sta intorno al Meazza. Poi il tema fisso dello stadio che deve rimanere “bene pubblico”, senza specificare chi si deve accollare i costi. Lo spauracchio della “svendita”, incuranti dei pareri tecnici. Insomma un’opposizione stile Nico Vox di Potere al popolo: “L’opposizione a questo modello padronale e privatistico continua”, lotta dura alle proprietà “non casualmente americane”. Ma dall’altra parte anche Enrico Marcora di FdI ha rispolverato la storiella cara al Comitato antimafia e legalità di Nando Dalla Chiesa,  secondo cui persino le proprietà dei club sono “sospette”, perché “non  è chiara la provenienza e il controllo finanziario dei fondi americani”. Miracolo a Milano, questa opposizione da incubo per una volta è stata battuta. In un periodo in cui Milano è bloccata da inchieste che si vanno impantanando e gli investimenti da parte di fondi e operatori internazionali sono svaniti.
La vicenda di San Siro è iniziata addirittura nel 2019, con la prima proposta, molto male congegnata, dei club. Ma il cammino, un passo dopo l’altro, da parte dell’amministrazione è sempre stato lineare e realistico: c’è uno stadio che i club che pagano l’affitto giudicano non più adeguato. Perché dovrebbe restare l’unico intoccabile al mondo? Wembley, Highbury,  Old Trafford, San Mamés, Bernabeu e Camp Nou sono stati abbattuti o rifatti dalle fondamenta, perché per Milano è un tabù? La questione è ovviamente anche emotiva, tutti a piangere ricordi, pomeriggi di nebbia, trionfi della squadra del cuore e amori con le luci a San Siro. Ma la si dovrebbe trattare a ciglio asciutto: per il comune il rischio concreto era che le società costruissero un proprio impianto altrove, o di averne uno comunque di costosa manutenzione e di range sempre più basso in Europa. Del resto la storia è ventennale. Nel 2008 l’Inter di Moratti commissionò uno studio a Stefano Boeri per uno stadio in un’area di proprietà ad Affori. Fu bloccato (lo stadio ha da essere pubblico!). Berlusconi, ai tempi, sarebbe stato contento di tenersi da solo il Meazza. Poi il Milan di Barbara Berlusconi provò l’operazione Portello, l’Inter cinese pensò a un impianto nella zona sud della città. Poi San Donato, la Maura, Sesto San Giovanni. Vent’anni di ipotesi, la migliore è sempre restata quella di un nuovo stadio a San Siro, ma da vent’anni l’opposizione è stata una e una sola: la proprietà pubblica, il Meazza intoccabile. Con la stessa logica le ex Varesine sarebbero ancora fango e malavita, CityLife capannoni dismessi. Non ci  sarebbe la Fiera nuova, né il villaggio Olimpico realizzato da Coima e inaugurato proprio ieri.

Miracolo a Milano, un sussulto di buona politica. Ora la città si prepara a vedere il progetto che sarà firmato dagli studi di architettura Foster + Partners e Manica, uno stadio da 71.500 posti e tutto ciò che la moderna hospitality degli eventi sportivi deve avere. Fuori, una parte della “Grande funzione urbana San Siro” verrà riqualificata, parcheggi interrati, lo spostamento della viabilità che tanto ha fatto penare gli oppositori, restii per principio a qualunque innovazione. Il nuovo impianto sarà circondato da 140 mila metri quadrati di verde, di cui 52 mila mq di cosiddetto “verde profondo”, per la salute dei cittadini che sta tanto a cuore ai Verdi. E uffici direzionali, hotel, spazi commerciali, un centro medico sportivo, attività culturali e ricreative.  Il progetto  dovrebbe essere pronto per 2031, mai dire mai, con tanto di obiettivo di neutralità carbonica e tutto il resto, comprese le garanzie su prezzi family accessibili. Insomma la “never ending story” dello stadio, come la definì una volta un Beppe Sala disperato, ha ora un possibile finale positivo. Milano è cambiata tante volte, anzi è una delle città d’Europa che più si è trasformata urbanisticamente, nell’impianto economico, nella popolazione. E non si è mai pentita dei cambiamenti, a parte i Navigli la nebbia. Il vero miracolo di Milano è di essere stata sempre guidata nella sua trasformazione.
Maurizio Crippa

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"