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L'editoriale del direttore
Il piano di Trump per Gaza mette in crisi il pacifismo modello flotilla
La proposta del presidente americano costringe i pacifisti a fare i conti con una durissima realtà: per portare pace tra i palestinesi, serve neutralizzare Hamas. I paesi arabi lo sanno, le piazze italiane capiranno?
Contrordine compagni! I professionisti del pacifismo, che sono cosa molto diversa dai professionisti della pace, di fronte al pirotecnico piano di Trump per Gaza si trovano in una situazione molto difficile da gestire. Fino a oggi, i professionisti del pacifismo, tendenza flotilla, hanno raccontato al mondo che i nemici giurati della pace, in medio oriente, sono i criminali che guidano Israele. Il piano di Trump per Gaza, invece, ribalta il tavolo, cambia lo scenario, trasforma gli equilibri, stravolge la prospettiva e nel giro di poche ore di fronte ai professionisti del pacifismo si è presentata una realtà diversa, difficile da gestire, difficile da accettare, difficile da governare. La realtà è presto spiegata: un piano che prevede un cessate il fuoco immediato, la restituzione di tutti gli ostaggi entro 72 ore, la liberazione dei prigionieri palestinesi, l’amnistia per i membri di Hamas che depongono le armi o lasciano Gaza, una smilitarizzazione totale sotto il controllo internazionale, aiuti umanitari massicci, una governance transitoria tecnocratica, una forza di stabilizzazione araba internazionale e un percorso verso l’autodeterminazione palestinese senza ruolo politico di Hamas è un piano che certifica quello che in molti in questi due anni di guerra si sono rifiutati di riconoscere.
Ovvero: per regalare a Gaza un futuro dominato da una pace duratura, il tema non è soltanto fare arretrare l’esercito israeliano, ma disarmare Hamas, costringendo i terroristi a una resa, anche con condizioni. Il piano di pace per Gaza, oggettivamente, è un piano che trasferisce su Hamas il peso della decisione sul futuro pacifico del medio oriente. E osservare in modo negativo il piano di Trump, conseguentemente, equivale a volersi contrapporre all’idea che Hamas debba deporre le armi e debba sparire come soggetto politico-militare. I professionisti del pacifismo, che sono cosa molto diversa dai professionisti della pace, di fronte a questo scenario si trovano in difficoltà oggettiva per una ragione semplice. Dopo aver scelto di rimuovere il tema Hamas dalle problematiche del medio oriente (chi nomina Hamas nei dibattiti con i più esagitati dei pro Pal viene ormai considerato un genocida, un nazista), oggi i suddetti professionisti scoprono che il futuro della pace a Gaza passa proprio da lì, anche da lì, dunque dalla volontà da parte dei terroristi di farsi da parte per garantire ai palestinesi un futuro e anche uno stato. Dire di no alla smilitarizzazione di Gaza, per essere chiari, significa considerare un non problema il fatto che l’infrastruttura terroristica possa rimanere intatta. Dire di no alla liberazione immediata di tutti gli ostaggi, per essere ancora più chiari, significa voler ammettere che gli ostaggi sono uno strumento legittimo e persino prezioso nella logica dell’affermazione delle ragioni del popolo palestinese. Dire di no alla costruzione di una governance indipendente supportata dai paesi arabi, per aggiungere ancora un dettaglio, significa ritenere legittimo che Hamas continui ad avere un ruolo, anche armato, a Gaza.
Ai professionisti del pacifismo, che sono cosa molto diversa dai professionisti della pace, non può poi essere sfuggito, per quanto la linea possa essere disturbata nelle acque internazionali, dove comunque l’odiato Musk con la sua Starlink ha aiutato i flotilleros ad avere sempre una connessione discreta, che ad aver abbracciato il piano di Trump, e di Netanyahu, non sono stati solo i paesi tradizionalmente vicini a Israele, come l’Italia e la Germania, ma sono stati anche paesi insospettabili. Paesi come la Spagna, guidata da Pedro Sánchez, che da mesi definisce la tragedia di Gaza un genocidio, e che in un lampo di assennatezza ieri ha dato il suo beneplacito al piano di Trump per Gaza, riconoscendo dunque che il futuro della pace oggi passa più da Hamas che da Israele – verrebbe da dire benvenuto nella realtà. Ma i paesi che dovrebbero spingere i compagni della flotilla a rivedere l’ordine delle priorità della propria missione a Gaza sono quelli arabi, sono quelli più vicini per ragioni logiche e storiche al popolo palestinese, e sono gli stessi paesi che proprio ieri, in modo unitario, hanno espresso la propria disponibilità a cooperare con gli Stati Uniti, e con le altre parti coinvolte, per portare avanti il piano voluto da Trump e sostenuto da Israele per il futuro di Gaza, dimostrando di avere chiaro, forse più dei pacifisti della flotilla, quanto sia importante fare tutto il possibile per lavorare a un disarmo di Hamas e a una sua neutralizzazione politica e militare. Con Hamas, la pace non c’è. Senza Hamas, la pace è possibile. Contrordine compagni! Chi è il vero nemico della pace oggi?