
Il Papa sardo
Amarezza 5 Stelle: "Nelle Marche colpa del Pd. Ci voleva Todde. Con un nostro candidato avremmo vinto"
Matteo Ricci perde le elezioni ma per il partito di Conte la colpa è del Pd. “Ci voleva un candidato di rottura”, dicono nel Movimento
Se il Pd cerca il Papa straniero, nel Movimento il Papa è piuttosto sardo. “Ci voleva Alessandra Todde”, scrivono i Cinque stelle nelle loro chat all’indomani del fiasco marchigiano. “Ce la siamo giocata male”, ripetono. E poi chiosano: “La colpa però non è nostra”. Il deputato e coordinatore marchigiano del M5s Giorgio Fede dice: “Ci fosse stata una Todde, o magari un Fico, o volendo anche un Tridico, l’avremmo messo in campo e avremmo vinto. Se hai Maradona o Pelé, i Mondiali li vinci…”. E le regionali? “Il punto è che la Todde non c’era, ad Ancona. E allora uno fa il pane col grano che ha”. Farina di grano Ricci? “Ricci è capace, per carità. E noi andremo avanti. Ma la vicenda giudiziaria, che pure è stata superata, qualche effetto l’ha sortito”. Insomma, ci fosse stato un candidato pentastellato avrebbero vinto. E’ all’incirca questa, oggi, l’exit strategy a Cinque stelle.
Ci voleva la cugina marchigiana della presidente sarda: l’unica che abbia trasformato il campo largo in campo dei miracoli. Una papessa nuragica, ci voleva. Perché l’unico modello che funziona, a sinistra, è il modello Todde. E se Giuseppe Conte sposta ufficialmente l’asse sul tema dell’astensionismo – che avrebbe sfavorito la colazione – fonti interne al Movimento confermano l’insofferenza per il candidato perdente dem. “Non è un mistero – spiegano da via Campo Marzio – che una parte di noi, soprattutto nelle Marche, abbia storto il naso davanti a Ricci. Conte, però, si è speso. Anche con sofferenza. Il progetto politico non ha mobilitato come speravamo. Ma andremo avanti”.
“Matteo Ricci è una persona capace – fa eco Fede – ma certo non sono sfuggiti tutti gli stop e gli inciampi di questa campagna elettorale”. Non a noi, onorevole. Che su queste pagine abbiamo raccontato il presidente Conte “passione Gup”. “Se valutiamo l’integrità dei nostri candidati, come possiamo non considerare quella dei nostri alleati?”. Ci mancherebbe. E tuttavia la nostra sensazione è che più di Francesco Acquaroli, fratello d’Italia appena rieletto, sia stato il Movimento a inzigare Ricci sul tema giudiziario e sull’inchiesta Affidopoli.
A fine luglio l’ex premier convocò tutti i suoi per studiare “le carte”. Il Partito democratico era lì, col fiato sospeso, in attesa di sentenza. Acquaroli, intanto, ci diceva che mai avrebbe usato l’indagine come arma contundente. “Acquaroli è una persona perbene. Educatissima. Si sa”. E voi? “Noi siamo andati avanti, l’abbiamo appoggiato. Dopodiché i territori sono diversi e con la Todde, certo, avremmo vinto. In ogni caso, non potevamo non considerare l’aspetto giudiziario…”. Aspetto che nel bisbiglio più o meno chattistico, adesso, riaffiora.
Giuseppe Conte, si diceva, incassa il colpo del 5 per cento in vista di regioni migliori. Conte se la prende, poi, col mostro invisibile dell’astensionismo. Il quale avrebbe penalizzato la sinistra più della destra – per quanto i sondaggisti gli obiettino che “l’astensionismo riguarda tutti” e che “gli astensionisti non sono alieni” – così dice al Foglio Livio Gigliuto di Piepoli.
Resta la consapevolezza, nel Movimento, che “ci voleva un candidato di rottura”. Un Cinque stelle che nelle Marche non c’era. Un candidato-candido, per intenderci. Intonso almeno in campagna elettorale (le indagini, in Sardegna, son venute dopo le urne). E se nel Pd s’apre adesso il conclave del Papa straniero (papabilissima Silvia Salis), il Movimento 5 Stelle punta invece al Papa sardo. Al modello Todde. Al campo largo tracciato, oggi, da un’inconsueta Sardegna-locomotiva.