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il voto
Undici ore per dire sì alla vendita di San Siro. Milano si prepara al nuovo stadio
Il Consiglio comunale approva nella notte la delibera che segna la fine del Meazza. Il nuovo impianto firmato Foster-Manica sarà pronto per gli Europei. Ma il sì arriva grazie all’astensione dell’opposizione: otto franchi tiratori nel centrosinistra spaccano la maggioranza e mettono a rischio la tenuta politica della giunta Sala
Ci sono volute 11 ore di confronto, anche aspro, per arrivare a una decisione storica: dopo quasi 100 anni di vita lo stadio Meazza di Milano chiude i battenti. Al suo posto verrà costruito un nuovo impianto entro il 2032, giusto in tempo per ospitare gli Europei di calcio, firmato dagli architetti Norman Foster e David Manica. Si chiude così una vicenda nata alla fine del 2018 quando Inter e Milan presentarono la richiesta di costruire un nuovo stadio adeguato alle esigenze di un calcio moderno sempre più intrecciato con il business che il vecchio San Siro non era più in grado di garantire.
Come si è arrivati alla vendita dello stadio
È utile ripassare in fretta quanto successo in questi sei anni per capire come sia difficile – anche in una città veloce come Milano - avviare processi di modernizzazione urbana. Inter e Milan, per una volta d’accordo, optano per una nuova struttura da condividere, caso pressoché unico in Europa, e propongono al Comune un piano complessivo che prevede oltre alla cancellazione del Meazza e la costruzione del suo sostituto, la creazione di un centro commerciale, uffici, verde. Di fatto un’operazione non dissimile da Citylife, il quartiere del lusso situato a poca distanza.
E qui nascono i conflitti. Perché se il consiglio comunale dà il via libera, seppure ponendo otto condizioni, in seno alla maggioranza del centrosinistra si apre una falla: Verdi e anche esponenti del Pd si mettono di traverso. Un’opposizione che si irrobustisce con pezzi della società civile, peraltro molto aggressivi, formati da comitati di quartiere che vedono le ruspe come il diavolo, ambientalisti che denunciano gli effetti del Co2 su un’aria già di per sé insalubre, intellettuali e media che gridano alla speculazione perché i due club sono detenuti da proprietà straniere, peggio ancora sono in mano a due fondi americani di cui si ignorano i veri obiettivi economici.
È di fronte a questo scenario che il sindaco Sala inizia a vacillare, gli si sta rivoltando contro una parte del mondo che lo ha sostenuto e inizia a dubitare che la maggior parte dei milanesi voglia davvero rinunciare alla Scala del calcio. Il covid rallenta l’iter, poi nel 2023 arriva il colpo di scena: il neo sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi annuncia che lo stadio non si può abbattere perché dopo 70 di vita scatta il vincolo. La Soprintendenza conferma in parte, spiegando che il vincolo culturale si può applicare solo al secondo anello, costruito nel 1955, a partire dal 10 novembre del 2025: dopo non si può più toccare. Questa data diventa una deadline entro cui concludere la vendita, una sorta di conto alla rovescia che rischia di provocare un corto circuito nel centrosinistra che perde altri sostegni in Consiglio comunale e trova un fuoco di sbarramento nei comitati che presentano ricorsi alla Corte dei Conti, al Tar e persino alla Procura. Lo scorso novembre Sala gioca le ultime carte, fissa una marcia a tappe per arrivare a chiudere con successo questa storia tribolata di cui ieri è stato l’ultimo atto.
La decisione finale nel Consiglio comunale di Milano
La delibera – votata alle 3,30 di martedì 30 mattina – ridisegna un’area di circa 280mila metri quadri con diritti edificatori pari a 98.321 mq di superficie lorda e l’indice di edificabilità di 0,35, la metà di quanto richiesto all’inizio dalle squadre. Il comune la vende per 197.075.590 euro, il 50 per cento dell’intero comparto resta a verde, la capienza dello stadio sarà di 71.500 posti. Un particolare che ha suscitato forti polemiche riguarda la rimozione dell’attuale tunnel Patroclo e le opere di bonifica che l’amministrazione comunale finanzierà con 22 milioni di euro.
Il voto finale ha visto la maggioranza prevalere con 24 voti (su 32 disponibili) contro i 20. A questo esito si è arrivati per il dissenso di ben otto consiglieri del centro sinistra – tre verdi, tre del Pd, un’indipendente e uno della lista Sala, che si è astenuto – che hanno portato i numeri sotto la soglia di allarme perché l’assemblea è composta da 48 membri. Ci ha pensato l’opposizione a salvare la giunta Sala, in particolare Forza Italia che ha deciso di non partecipare al voto – eccetto De Chirico – consentendo il via libera.
Era stata Letizia Moratti lunedì sera ad annunciare questa posizione, in coerenza con quel patto per Milano offerto a Sala per superare lo scoglio del voto su San Siro e quello del Salva Milano a Roma. Per ora è stato vinto il primo, difficile che si arrivi allo stesso risultato per il secondo. Quanto al nuovo stadio non è detta ancora l’ultima parola. La paura a Palazzo Marino è che i vari ricorsi prima o poi producano qualche effetto, ipotesi che di questi tempi è tutt’altro che da scartare.
