Il racconto

Schlein senza Marche. Vince Acquaroli (e Meloni). Crollo M5s. Nessun "Effetto Gaza". Picierno: "Non siamo pronti"

Carmelo Caruso

Vince il governatore di FdI con netto distacco e la destra ritrova l'unità (e pensa alla legge elettorale). Da Prodi, Picierno e Malpezzi l'analisi del voto: "Il Pd non basta. Allargare" 

Le Marche si smarcano da Gaza. Dal cinque a uno (per la sinistra) all’uno a zero (per la destra). Meloni è pallone, e regione, d’oro. Francesco Acquaroli vince, Matteo Ricci perde. Risultato: Acquaroli al 52 per cento, Ricci al 44 per cento. FdI è primo partito, il Pd secondo. La “remuntada” non c’è stata, “l’effetto Gaza” neppure. Dice Pina Picierno, la vicepresidente del Parlamento europeo, al Foglio: “Le Marche sono un test importante perché rappresentano il sogno spezzato del ceto medio, della piccola industria. Queste esigenze non riusciamo ancora a interpretarle a farle diventare proposta di alternativa”. Gentiloni-Nostradamus aveva ragione. Non sono pronti. 


Salvini (superato da Tajani nelle Marche) respira: avrà il Veneto forse già oggi, per Alberto Stefani. L’effetto sulla destra? Meloni cambierà la legge elettorale, per vincere meglio. Elly Schlein? Testardamente unitaria (dice “continua il nostro impegno”) ma il M5s kaputt, non tira. Crolla l’affluenza, crolla l’idea che il campo largo Pd, Avs, M5s, basti. Divide la flotilla, non paga non ascoltare l’appello del capo dello stato. Dall’Ohio d’Italia si passa alle Marche regione e voto locale. No. Non è andata bene. La sinistra, di mattina, garantisce che è “testa a testa”, la destra risponde che “l’astensione penalizza Ricci. Vinciamo noi”. Ha votato la stessa gente del 2015. Affluenza da record negativo. Solo il 50 per cento dei votanti. Acquaroli fa il bis.

A caldo, nel Pd a vela (la flotilla ce l’ha Elly): “E’ un disastro. Era cominciata con la frase vinciamo 5-1 alle regionali e ora è puntiamo al 3-3”. Ridimensioniamo le aspirazioni. Lo strepitoso Francesco Boccia, l’Igor Tudor del Pd, l’allenatore, ci mette la faccia, come sempre, corre a Sky dove spiega, lo aveva anticipato sulle nostre colonne, che nelle Marche “si giocava fuori casa” e che “questo voto riguarda le Marche e non il resto del paese”. Non perdiamo il morale. Non abbattiamoci.

Dalle parti di FdI iniziano a suonare il clacson già all’altezza dell’Aurelia. Si corre verso le Marche facendo caroselli. Olé. Arianna Meloni si dirige ad Ancona, la premier fa il post coppa campioni: “Gli elettori hanno premiato una persona che ha lavorato senza sosta”. Ha lavorato così senza sosta che nessuno si era accorto che Acquaroli era presidente delle Marche, ma queste sono malelingue, le piccole angherie che il campione di Meloni  ha dovuto subire dalla sinistra. Italo Bocchino, spin doctor di Acquaroli, festeggia la sua prima vittoria: è il Jim Messina della destra, ve lo ricordate, l’americano di Obama? Il povero Ricci ammette che purtroppo “i marchigiani hanno scelto la continuità. Il dato è chiaro”. Si congratula con Acquaroli e da lord auspica: “Spero possa fare meglio. Io di più non potevo fare”. Tranquilli, resta europarlamentare Pd.

Nella sinistra il primo che parla viene mandato in acque internazionali perché l’ordine è “zitti, che c’è la Calabria. Si deve votare. Non fiatate”. Telefoni muti. A destra, al governo, sale l’euforia. Sembra un rave. La ministra Eugenia Roccella, alle Pari Opportunità, fa spirito come i comici Luca e Paolo (qualcosa di mai visto) e scrive: “Da mesi la sinistra parla di ‘Ohio d’Italia’, di avviso di sfratto al governo. Bene. Chiudiamola con una battuta: da Ohio a ahio che dolore”. E’ situazionismo. Romano Prodi, che con Elly Schlein non si è mai preso, pensa che il Pd non basti, che il campo largo neppure, che al governo si arriva facendo i moderati, non gli ingazati, e lo dice dalla sua Bologna: “Lo ripeto, il Pd da solo non è sufficiente”. Uffa. Niente da fare. Servono eroi.

A esaminare il voto viene allora inviato, in tv, Igor Taruffi, Taruffenko, che non si arrende. Non ha funzionato nelle Marche? Non significa che non bisogna riprovarci perché, pensa Taruffenko, “la strada è quella giusta. Riproviamoci. Solo un anno e mezzo fa commentare un’alleanza di centrosinistra unita e compatta sarebbe stato fantascientifico”. Compatti, chi? Conte fa una nota da Pci: “Dobbiamo prendere atto che questa proposta non ha convinto la maggioranza dei votanti come pure dobbiamo prendere atto che  è calata sensibilmente l’affluenza”. Prendiamo atto che nel Pd c’è Simona Malpezzi, mamma Malpezzi, un’altra coraggiosa che insieme a Picierno non le manda a dire: “Nessuno mette in discussione il campo largo, ma  serve un Pd dal profilo più ampio, serve aggiungere e non restringere, serve ampliare la proposta di partito”. Non si è ancora pronti. Neppure per i supplementari. Dagli spalti il grande Luigi Zanda, il Trapattoni del progressismo: “Che posso dire? Non ha vinto Acquaroli, ha vinto la destra, la forza della destra. Sono gli anni di Meloni e serve una riflessione vera, sedersi e reagire. Il campo largo? Di largo io vedo i desideri”. 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio