l'editoriale del direttore

Perché la destra farà di tutto per blindare Schlein come rivale del futuro

Claudio Cerasa

Un paradosso sullo sfondo del test elettorale di oggi: a credere di più nel campo largo non è il centrosinistra ma il centrodestra. Che è pronto a scommettere a proprio vantaggio, complice la legge elettorale, sulla leadership della segretaria del Pd

Oggi è un giorno d’attesa, lo sapete, e oggi è il giorno in cui si saprà verso quale direzione soffia il vento della politica, se verso il cambiamento, e la discontinuità, o se verso le conferme, e la continuità. Oggi, lo sapete, è il giorno in cui si conosceranno i risultati delle elezioni nelle Marche e in Val d’Aosta, primi birilli della partita di bowling delle regionali, che da qui a novembre impegneranno anche gli elettori di Calabria (5-6 ottobre), Toscana (12-13 ottobre), Campania, Veneto, Puglia (23-24 novembre). Le regionali, se ci pensate, cadono in un momento importante, a metà del percorso del governo, poco più della metà, quando cioè una maggioranza dovrebbe scontare una crisi fisiologica di consenso. Ma a dimostrazione del fatto che l’Italia politica vive un’anomalia assoluta, il test delle regionali servirà a misurare lo stato di salute più dell’opposizione che del governo. E le domande dunque si susseguono. Riuscirà il campo largo a convincere gli elettori che non amano Meloni della bontà del proprio progetto? Riuscirà il campo largo a convincere gli elettori che non amano la destra rispetto al suo essere un’alternativa credibile? Riuscirà soprattutto il centrosinistra a non passare alla storia della Seconda Repubblica come l’unica opposizione che non sia riuscita a mettere in difficoltà una maggioranza di governo dal punto di vista elettorale, considerando il fatto che nella storia della Seconda Repubblica non era mai successo finora che una maggioranza in carica arrivasse a tre quinti della sua esperienza di governo senza avere consensi più bassi rispetto a quelli che aveva all’indomani delle elezioni vinte?  

 

Le Marche, naturalmente, ci aiuteranno a capire verso quale direzione andranno queste regionali, e se è vero che vi sono almeno cinque elezioni che appaiono già segnate in partenza – la Toscana, la Campania, la Puglia e la Val d’Aosta dovrebbero andare al centrosinistra, dicono i sondaggi, il Veneto e la Calabria al centrodestra – non ci vuole molto a comprendere che le elezioni di oggi peseranno non poco per capire l’aria che tira in giro per il paese. Ma nell’attesa di sapere se gli elettori del centrosinistra hanno intenzione di scommettere sul campo largo, e di credere a questo progetto, quello che può sembrare paradossale, ma fino a un certo punto, è scoprire chi è che nel progetto del campo largo, oggi, crede eccome, forse persino più del centrosinistra. La risposta è semplice: il centrodestra, naturalmente. E le ragioni per cui il centrodestra crede nel campo largo, forse più del centrosinistra, sono insieme serie e comiche.

 

Le ragioni serie riguardano un calcolo matematico: nel 2022, il centrodestra ha vinto le elezioni grazie a un centrosinistra diviso e la presenza di un centrosinistra non diviso oggi costituisce un problema oggettivo. L’indizio più interessante attraverso il quale il centrodestra mostra da tempo la volontà di prendere sul serio il campo largo è tutto nella prossima legge elettorale. Il centrodestra la vuole cambiare perché pensa che, come dimostreranno probabilmente le regionali, con un sistema come quello attuale, in cui un terzo dei seggi è attribuito con i collegi uninominali, il centrosinistra al sud ruberebbe al centrodestra buona parte dei collegi. E la volontà di superare l’attuale legge elettorale nasce proprio dall’idea che il centrosinistra possa essere per il centrodestra un competitor più pericoloso di quanto non si percepisca lo stesso centrosinistra.

 

Il secondo indizio, presente anch’esso nella legge elettorale del futuro, riguarda la volontà del centrodestra di dividere quanto più possibile il campo largo, attraverso una soglia di sbarramento bassa prevista per i partiti che andranno da soli. Nel caso specifico, se non fosse chiaro, la soglia bassa è un assist al partito di Carlo Calenda, e ai possibili centristi al seguito, per stare lontano dal campo largo, per dividerlo, e per tentare la strada solitaria. Il centrodestra, però, non si limita a credere nel centrosinistra più del centrosinistra stesso, e forse anche più di quanto non ci credano gli stessi elettori.

 

Il centrodestra, oggi, sta facendo di più, e non scommette solo sulla pericolosità del campo largo ma scommette anche sul suo possibile candidato premier, ovvero Elly Schlein. Rispetto al primo punto, ovvero la scommessa che il centrosinistra possa essere competitivo, il secondo punto, ovvero la scommessa su Schlein, ha un segno naturalmente del tutto opposto, e il centrodestra considera l’attuale leadership del centrosinistra così debole da essere pronta a fare di tutto per permetterle di correre. E per questa ragione, a prescindere da come andranno le regionali, a prescindere dalla possibilità o meno che Elly Schlein dopo le regionali possa convocare un congresso del Pd, congresso a cui buona parte del centrodestra farebbe di tutto per poter partecipare e votare a favore della leadership dell’attuale segretaria del Pd, per questa ragione, si diceva, il centrodestra ha pensato di costruire la sua legge elettorale aggiungendo un dettaglio niente male: l’indicazione del candidato premier. Con questa opzione, è il ragionamento, il centrosinistra non può illudere gli elettori rispetto alla possibilità di avere una leadership diversa da quella che risulterà evidente nella futura campagna elettorale, che partirà un minuto dopo la fine delle regionali.

 

E non si potranno illudere gli elettori semplicemente perché l’indicazione del candidato premier costringerà il centrosinistra a celebrare le primarie, e le primarie del centrosinistra non potranno non premiare secondo i vertici del centrodestra un’avversaria che finora ha dato un contributo decisivo al centrodestra a mantenere i suoi consensi molto alti: Elly Schlein, naturalmente. Quando una maggioranza fa calcoli spericolati sull’opposizione non sempre le cose vanno al loro posto e così come non è detto che una nuova legge elettorale possa aiutare il centrodestra a essere più competitivo, non è neanche detto che celebrare le primarie di coalizione per il centrosinistra renda scontata la leadership di Elly Schlein che viceversa forse sarebbe scontata andando alle elezioni con lo schema da sempre seguito dal centrodestra: il candidato premier è semplicemente il leader del partito più forte della coalizione.

 

Ma a prescindere da come andrà il test delle Marche una certezza oggi c’è: gli elettori del campo largo non è chiaro quanto scommettano sul centrosinistra, la dirigenza del centrodestra invece sì, e chissà se le Marche dimostreranno davvero quello che il centrodestra considera un elemento ormai consolidato: un centrosinistra così, unito in questo modo, unito con questa leadership, è la migliore assicurazione sulla vita per un centrodestra che per la prima volta nella storia della Repubblica potrebbe avvicinarsi agli ultimi scampoli della legislatura con possibilità insperate di guardare avanti con fiducia e con ottimismo. Grazie a Meloni o grazie a Schlein? Chissà.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.