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L'eco del passato su un presente di pericoli

Le piazze, la rabbia, i rischi, i partiti, la Cgil. Parla il dem Luigi Zanda

La causa di Gaza come "contenitore" d'altro, come negli anni Settanta durante la guerra del Vietnam

Marianna Rizzini

"Siamo sull’orlo del baratro. E il presidente Mattarella, per le cose che dice, per come le dice e per il coraggio con cui le dice, è il nostro Winston Churchill"

Le notizie di guerra che arrivano dal confine orientale dell’Europa non sono rassicuranti, come le voci che salgono dal Mediterraneo. Poi ci sono le piazze: piazze che, da un lato, raccolgono un sentimento diffuso di disagio e riprovazione, ma dall’altro fanno da contenitore a esplosioni di rabbia, con innesti di gruppi radicali e provocazioni di altra radice. Una rabbia di fatto non contenuta né forse del tutto prevista dai partiti e da un sindacato (la Cgil) che si ritrova in parte scavalcato e in parte spiazzato. Ne parliamo con Luigi Zanda, già senatore e padre fondatore del Pd: “La compresenza di  guerra, violazioni del diritto internazionale, azione di organizzazioni terroristiche, disinformazione, fake news e guerra ibrida”, dice Zanda, “di per sé favorisce la discesa in piazza di cittadini che manifestano pacificamente, ma anche di gruppi animati da altre pulsioni, nonostante la situazione sia molto seria: siamo su un piano inclinato, vicini a una guerra che potrebbe coinvolgere gran parte dell’Europa”. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha evocato il clima del 1914. “Siamo sull’orlo del baratro. E il presidente Mattarella, per le cose che dice, per come le dice e per il coraggio con cui le dice, è il nostro Winston Churchill, l’uomo che ha salvato la Gran Bretagna durante la Seconda guerra mondiale”. La convocazione di “piazze permanenti” per Gaza preoccupa governo e partiti. “C’è chi pensa Gaza possa diventare, per le opinioni pubbliche occidentali”, dice Zanda, “un catalizzatore di proteste di vario segno, come cinquant’anni fa la guerra del Vietnam. E vale la pena di riflettere sul paragone. A Milano, qualche giorno fa, ho visto scattare lo stesso meccanismo che scattava in molte manifestazioni anni Settanta, quando decine di migliaia di ragazzi protestavano pacificamente in cortei dove spesso, però, agivano indisturbati gruppi terroristici che bruciavano macchine o sparavano, dopo aver assaltato le armerie. Purtroppo quei manifestanti pacifici non sempre sono stati in grado di arginare e prevenire”. Si parlava di zona grigia. Ma oggi non sarebbe più facile intercettare i potenziali pericoli che si muovono a margine dei partiti ufficiali e dei grandi sindacati, interconnessi come siamo?  “Davanti a una situazione internazionale così seria, e a fatti così gravi, tutte le forze politiche, e anche alcuni membri del governo”, dice Zanda, “dovrebbero riuscire a non usare parole polemiche per ragioni di politica interna, preoccupandosi piuttosto di raffreddare la tensione”. Il rischio che la situazione scappi di mano, rischio non esplicitato, preoccupa trasversalmente il mondo politico. “I rischi per l’ordine pubblico sono alti. Torno di nuovo agli anni Settanta, stagione dura e dolorosa per l’Italia. Ecco, allora Dc e Pci hanno lavorato insieme, di fronte al pericolo di mettere a repentaglio la sicurezza nazionale, evitando a un certo punto di promuovere iniziative che potessero favorire l’azione di provocatori violenti”. Oggi c’è sottovalutazione? “Dico soltanto che, in tempi di guerra, chi ha più saggezza e più prudenza deve usarle”. Ma come si fa a riprendere il controllo, se lo si sta perdendo? “Bisogna parlare e dire la verità, questo possono fare le forze politiche. E il governo deve usare tutti i mezzi di prevenzione possibile”. I partiti hanno un compito importante di bussola e guida. Ma a volte le parole sembrano mancare. “E’ ora di tirarle fuori. In piazza, nelle scuole, nelle università. E’ momento di esser responsabili, distinguendo tra aggredito e aggressore, dicendo se la risposta all’aggressione è proporzionata all’offesa oppure no, ricordando che, sempre e comunque, la vita umana ha il suo valore”. 
 

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.