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calcoli e tormenti

Il rovello di Meloni tra Gaza, Israele e consenso. Tajani: “Sì alla sanzioni per i ministri violenti”

Ruggiero Montenegro

Il governo pesa le prossime mosse su Gaza, per dare un segnale di sostegno senza cedere all'opposizione. Intanto cambiano leggermente i toni. Il ministro degli Esteri: "Valuteremo la sanzioni commerciali. Farsi scudo del popolo come fa Hamas è un crimine orrendo, uguale a quello che commettono i soldati israeliani”

Dare un segnale all’opinione pubblica su Gaza, senza cedere all’opposizione. E’ il tormento del governo, il rovello di Giorgia Meloni. Il sostegno a Israele non verrà meno, ma la brutale escalation di Netanyahu non può lasciare indifferenti. E se due giorni fa, la premier ha fatto emergere un primo leggero cambio di passo, a Palazzo Chigi ora si interrogano su quale postura assumere da qui in avanti: un   complicato equilibrio, da ricercare tra diplomazia internazionale, ricadute interne e consenso. Qualche indicazione ieri è arrivata dal ministro Antonio Tajani: sì alle sanzioni ai ministri estremisti di Israele, “valuteremo quelle commerciali”, a patto che non abbiano ricadute sui civili. Ma riconoscere lo stato di Palestina sarebbe oggi inutile: “Non possiamo avere Hamas come interlocutore perché è un’organizzazione terroristica” e “farsi scudo del proprio popolo è un crimine orrendo, uguale a quello che stanno commettendo i soldati israeliani”. 

 

E’ una equazione, quella utilizzata dal ministro degli Esteri durante il question time al Senato, che forse per la prima volta viene espressa in sede istituzionale da un membro del governo. E segue di poche ore le parole scandite da Meloni ad Ancona nel corso del comizio per Francesco Acquaroli. “Non condividiamo l’occupazione di Gaza”, ha detto la premier sottolineando la “reazione sproporzionata” di  Israele. Sintomi, più o meno chiari, di una sensibilità che su alcuni aspetti, come anticipato dal Foglio, sta cambiando. D’altra parte le immagini di distruzione che arrivano dalla Striscia sono eloquenti e rimbalzano su tg e social network, provocando indignazione e proteste, non solo nell’elettorato di sinistra. La sondaggista Alessandra Ghisleri  – dati Only Numbers – ha stimato che due italiani su tre ritengono gravissima la situazione a Gaza. Un altro 24 per cento la considera seria. Mentre il 32 per cento, è la quota più consistente, assegna le maggiori responsabilità a Netanyahu. Anche da qui passano i tormenti di Palazzo Chigi, mentre si avvicinano le regionali. Come dare un segnale di sostegno a Gaza, senza prestare il fianco alla sinistra, e mantenere una posizione d’equilibrio? “Ci stiamo lavorando”, risponde il ministro Tommaso Foti lasciando intendere che la risposta non è affatto facile. Il punto centrale è il riconoscimento della Palestina. E’ il tasto su cui più di tutto battono le opposizioni, accusando Meloni di ipocrisia. Il governo continua a sostenerne la necessità ma farlo ora, con i terroristi di Hamas ancora in campo, servirebbe “solo a lavarsi la coscienza”, spiega Tajani. Si cerca un’altra formula, si prende tempo. E lunedì, in occasione dell’Assemblea delle Nazioni Unite a New York, l’Italia approverà un documento per la creazione dello stato palestinese “a cui abbiamo dato un contributo significativo”, ha spiegato sempre il ministro degli Esteri. Sarà un primo passo, a cui si aggiunge la disponibilità da parte del governo a mandare un contingente militare per una missione Onu, “a guida araba per ricostituire l’unità palestinese, cioè rimettere insieme Cisgiordania, che è sotto controllo dell’Anp, e Gaza, controllata da Hamas”. In ogni caso troppo poco per le opposizioni, che lamentano “il silenzio dell’esecutivo sul genocidio” e che ieri, subito dopo il voto sulla riforma della Giustizia, hanno alimentato la bagarre alla Camera, ottenendo la sospensione dei lavori. La richiesta è che Meloni vada in Aula per le comunicazioni sul medio oriente.

 

C’è poi il fronte sanzioni, su cui Palazzo Chigi lavora di sponda con la Germania, che si muove su vari binari. Condannando l’occupazione e le parole del ministro israeliano Smotrich (“Gaza è una miniera d’oro”), Tajani si è detto favorevole a sanzionare, oltre ai terroristi di Hamas, anche i coloni e i ministri israeliani più violenti ed estremisti. E tuttavia, in sede europea, le sanzioni individuali richiedono l’unanimità, difficile o forse impossibile da raggiungere – considerata la posizione di Orbán. L’altro fronte è quello commerciale: questo tipo di misure richiede invece una (altrettanto difficile) maggioranza qualificata. Nella riunione europea di mercoledì, quando la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha avanzato le sue proposte di sanzioni, Raffaele Fitto si è assentato lasciando trapelare con il suo gesto un certo scetticismo. Tajani è stato più diplomatico: “Valuteremo insieme agli altri paesi europei, in particolare con la Germania”. Ma, ha specificato ancora il titolare della Farnesina, occorre tener conto “di quelle che non devono essere ricadute sulla popolazione di Israele”. Insomma, si vedrà. Anche perché Matteo Salvini ha ribadito la sua contrarietà tanto al riconoscimento della Palestina, finché ci sarà Hamas, quanto alle sanzioni. E intervistato da una tv israeliana, il leader della Lega ha rivendicato di essere “il miglior amico di Israele in Italia”, rinnovando il sosteno alla stato ebraico e tirando una stoccata all’Onu. Toni diversi da quelli utilizzati nelle ultime ore dagli altri leader di centrodestra, ma che restituiscono bene il difficile nuovo equilibrio che il governo sta cercando. Tra esigenze di politica interna, alleanze e diplomazia. 

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