
Ansa
L'editoriale dell'elefantino
L'altra storia di Mattarella: Sarajevo non c'entra con i droni russi, ma fa riflettere sul passato e sul presente
L’uso analogico della storia ha un senso solo. Mettere in evidenza che non sono tempi ordinari, che ciò che fu può ripresentarsi in altro modo e ricorrere con varianti straordinarie
Il presidente Mattarella fa un uso semplice, immediato, efficace e necessariamente tortuoso dell’analogia storica. L’attentato di Sarajevo non ha niente a che vedere con la toccatina di polso alla Nato proveniente da Putin attraverso le esercitazioni militari in Bielorussia. Eppure. L’intimidazione ha le sue regole. Come disse sulfureo il segretario dell’Onu, subito dopo il 7 ottobre, bisogna sempre esaminare il contesto. Si fa presto a dire pogrom, quando è in ballo un atto di resistenza contro forze occupanti. La caccia all’ebreo dei nichilisti del jihad è diversa dalla soluzione finale. Eppure. Lo sconfinamento armato programmato è una tecnica di provocazione nota. Nessuno scenario riprodurrebbe la tragedia della Guerra mondiale ’14-’18 o di quella ’39-’45. Eppure. Basta guardare la carta geografica e vedere dove è piazzata la Polonia. Basta pensare all’idea di “mondo russo” coltivata da Putin, esposta con chiarezza in molti documenti politici, e nella prassi blindata, senza necessariamente identificare l’espansionismo russo con il Lebensraum del Terzo Reich. Non è necessaria l’identificazione. Eppure. Aggiungiamo i droni e i missili ipersonici ai carri armati, il risultato torna alla perfezione.
L’uso analogico della storia ha un senso solo. Mettere in evidenza che non sono tempi ordinari, che ciò che fu può ripresentarsi in altro modo, ricorrere con varianti straordinarie. La variante delle varianti è la chiusura o lo sbrindellamento dell’ombrello difensivo euro-atlantico in Europa. L’europeismo nacque come promessa, e all’inizio era una Comunità europea di difesa, di mettere un termine definitivo alla guerra civile europea tra gli stati e proteggere una nuova via costituente alla pace. La sua premessa e cauzione strategica era l’assetto atlantico, la Nato, e l’equilibrio delle forze in campo. La Guerra fredda produsse molte iniquità e brutture, ma non una guerra dispiegata, non la violazione dei confini occidentali o orientali, non l’assalto alle democrazie. L’assassinio di un erede al trono, il gesto anarchico contro una carrozza, sono il percorso tortuoso che ci distingue nell’analogia di Sarajevo e ci separa da quei modi e da quel tempo.
Ma alla fine del percorso le cose si ripresentano con lo stesso potenziale di intimidazione, scherno e volontà di potenza d’un tempo. Tutti sanno che se l’Ucraina non avesse restituito i suoi apparati militari nucleari, in cambio della “pace per il nostro tempo”, o fosse stata inserita nel circuito della Nato, in Europa oggi non ci sarebbe, da tre anni e mezzo, una guerra di aggressione e di espansione territoriale. Tutti sanno che il grande gioco del Cremlino ha puntato le sue fiches sul tavolo delle presidenziali americane, sullo sconvolgimento nazional-populista della politica continentale europea, sulla scommessa del mercantilismo flessibile e globale contro il militarismo rigido e grande-nazionale o neoimperiale. Al contrario di quanto è stato detto, cominciamo a sentire il morso della guerra e la minaccia di una sua estensione ulteriore da quando abbiamo smesso di abbaiare alle porte della Russia, da quando è finita la guardia alta. L’uso analogico della storia non spiega i particolari, anzi in certi casi li imbroglia e confonde, ma fa capire la dimensione dei problemi, fa scaturire dalla storia di ieri l’allarme realista per il presente. Più che ammaestrare, la riflessione storica indica. Il che è già molto.