
LaPresse
L'intervento
L'inverno demografico non è un tema di destra. Un'agenda per il futuro
Il calo delle nascite dipende da un intreccio complesso di fattori economici, culturali e sociali. Non basta investire nel welfare. Ma parlare dei figli e di famiglia non è un riflesso conservatore che non si addice ai veri progressisti
Interessante la tesi rilanciata dal New York Times sul fatto che la crisi demografica colpisce molto di più l’elettore democratico rispetto all’elettore conservatore negli Stati Uniti ma anche in Europa. Interessante soprattutto perché mette in evidenza che gli aspetti culturali, insieme agli aspetti economici e alla presenza di servizi di welfare, incidono sulla demografia, sulla scelta di fare figli. L’Europa è diversa dall’America ma anche da noi il fattore culturale (più che politico, almeno negli studi italiani) pesa nelle scelte nei progetti di una coppia. La prova più evidente che l’investimento pubblico non risolve nulla da solo è l’esperienza della Svezia dove, pur con un aumento consistente della spesa pubblica, non si è riusciti a conservare il tasso di fecondità superiore a due (il tasso che permette il ricambio nella popolazione): lì è precipitato all’1,43, benché sia sempre meglio di quello italiano.
Pensiamo a cosa sarebbe successo se non avessero investito: quello che succede alle giovani donne specialmente al sud, costrette a fuggire per avere un lavoro remunerato dignitosamente, adeguati servizi come nidi e scuole d’infanzia e un sistema fiscale pensato per la famiglia come in Francia o Germania. In Italia contano lavoro e ricchezza, poiché sono i più ricchi – e chi ha lavoro stabile – ad avere più figli dei poveri. L’aspetto del sostegno economico, che in Italia abbiamo potenziato con l’assegno unico universale, e di welfare, sono quindi decisivi ma non risolutivi da soli. Gli studi dicono che pesano anche i fattori culturali. Connessi con la fecondità, più dell’orientamento politico, sono per esempio la religiosità (i credenti fanno più figli) e sì, come dimostrato anche negli Stati Uniti, l’atteggiamento verso il futuro: i pessimisti hanno meno figli degli ottimisti. Il mix di welfare, fattori economici e culturali rimane quindi difficilissimo da amalgamare.
Rinunciamo? No. Dobbiamo parlarne e agire, visto l’inverno demografico che colpisce l’Europa e l’Italia. Il tasso di fecondità italiano ha superato il minimo storico con 1,18 figli per donna: l’anno scorso i nuovi nati sono stati appena 370 mila. Il saldo naturale (ovvero la differenza tra nascite e decessi senza considerare il saldo migratorio) è fortemente negativo e pari a -281 mila unità. Come se scomparisse ogni anno una città come Catania. A ciò si aggiunga che solo lo scorso anno 156 mila cittadini italiani hanno lasciato il Belpaese, +36,5 per cento rispetto al 2023. Culle vuote e fuga dei cervelli. Città più tristi e vuote. Parlare dei figli e di famiglia non è dunque un riflesso conservatore che non si addice ai veri progressisti. Una sinistra con più ottimismo e speranza nell’uomo e nelle sue capacità di relazioni positive e fraterne (terza parola della rivoluzione francese dimenticata). Una destra che rifugga familismi e idealizzazioni astratte ma sia più concreta su organizzazione del welfare familiare e salari (specialmente femminili). Un’emergenza del presente. Un’agenda per il futuro.