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l'editoriale del direttore
Il centro è malconcio ma il centrismo non s'è mai sentito così bene
Se le urne non danno soddisfazioni, le tendenze moderate e antipopuliste sono presenti in tutte le coalizioni, e nei partiti anche là dove meno te lo aspetti. La svolta dell’esagitata Giorgia in modello Divo Giulio. Il caso M5s. La Lega che non vuole farsi vannaccizzare
"Col cazzo che ci faremo vannaccizzare!”. Il centro è morto, evviva il centro! C’è un argomento diventato tabù nella politica italiana. Un argomento doloroso, o spassoso, a seconda dei punti di vista, che costituisce una ferita aperta per tutti coloro che nel recente passato hanno individuato, intravisto, evocato, noi compresi, formidabili praterie al centro da cavalcare, per i politici desiderosi di distinguersi dal populismo di destra, che c’è, e dal populismo di sinistra, che c’è. Lo schema era logico: la destra verrà stritolata dal populismo, la sinistra pure, e una domanda di moderazione sarà inevitabile, sicuro, e mettersi tutti insieme sarà scontato, un gioco da ragazzi. La storia recente del centro, in Italia, è passata da varie fasi. Dalla Scelta civica di Mario Monti al Terzo polo di Matteo Renzi e Carlo Calenda, uno spazio lì al centro c’è sempre stato e a spanne potremmo dire che vale tra l’otto e il dieci per cento. Niente male. La novità politica degli ultimi anni è che il centro non ha trovato lo spazio elettorale che meritava. Ma proprio in una fase in cui il centro non esiste il centrismo in Italia non è mai stato così forte.
Ce n’è per tutti i gusti. C’è un centro puro, duro e puro, di chi considera ogni compromesso strutturale con le coalizioni sbagliato e quel centro è presidiato da Azione e da Carlo Calenda, che punta ad avere una legge elettorale con soglia di sbarramento bassa, al tre per cento, per dare al suo centro la possibilità di avere ancora un futuro. C’è un altro centro, guidato da Luigi Marattin, il Partito liberaldemocratico, bel nome, che punta a raccogliere gli elettori centristi che non si riconoscono in Calenda e che non si riconoscono nelle grandi coalizioni di destra e di sinistra e quel centro contribuisce a dare vivacità al mondo centrista.
Il centro non gode di grandi prospettive elettorali, almeno per il momento, e anche le teste d’ariete del centrismo europeo non se la passano granché bene, citofonare a Macron, ma il centrismo, si diceva, non se l’è mai passata meglio, e il centro, per quanto disabitato al centro, è presente, con forza, in tutte le coalizioni, anche quelle meno centriste. C’è un centro che fa il centro meglio di molti partiti di centro, pur con qualche sbandata estremista, ed è il centro modello Forza Italia, che al momento, con il suo 8-10 per cento, è, in compagnia di Antonio Tajani, il centro più in salute che c’è in Italia.
C’è il centro, pur con mille contorsioni, modello Italia viva, guidato da Matteo Renzi, che ha conquistato uno spazio mediatico importante nel centrosinistra e colpisce che nella coalizione degli anti Meloni le cartucce più dolorose lanciate alle premier siano quelle che arrivano dalla costola moderata, ormai accettata anche dagli anticentristi del Movimento 5 stelle. Moderati sì, ma non troppo, come avrebbe detto a suo tempo l’indimenticabile Borghezio. Il centrismo però è ovunque, è attorno a noi, e i leader centristi, pur con pochi voti, fioccano (su questo giornale Marianna Rizzini ha contato sedici leader centristi, da Ruffini a Tabacci).
Ma non basta, perché il centrismo, come un virus, è così contagioso da essere arrivato ovunque. La svolta centrista di Meloni è ormai un dato consolidato, prudenza, moderazione, pragmatismo, con un rapido passaggio dalla stagione dell’io sono Giorgia (Meloni) a quella dell’io sono Giulio (Andreotti). Ma le svolte centriste, in fondo, si trovano anche laddove non sarebbe sospettabile trovarle, e in una stagione politica in cui tutti i partiti, anche quelli più populisti, accusano gli altri partiti di essere i veri populisti, capita che un po’ di centrismo faccia breccia anche in luoghi inimmaginabili.
Pensate al M5s, per dire, che per difendere gli equilibri della coalizione, in nome del pragmatismo, si è convertito al garantismo nelle Marche, con la candidatura di Matteo Ricci, rivendicando la svolta, prima della prossima gogna contro un politico lontano dalla coalizione. Pensate anche al Partito democratico, per dire, la cui leader, tendente al modello politico gruppettaro, ha fatto dell’arte della mediazione il suo elemento identitario più forte, facendo di tutto per allargare la coalizione anche al centro (Renzi) e facendo di tutto per far percepire il Pd non come un partito di centro (la concorrenza del M5s fa sempre paura) ma come il centro della coalizione, e chissà che dopo i possibili successi delle regionali a Schlein non venga in mente di fare uno sforzo per conquistare anche gli elettori più moderati che oggi si sentono disorientati da un Pd che riescono ad apprezzare solo quando la segretaria resta silente. Il centrismo è dovunque, anche se nessuno si considera davvero centrista, e anche i più moderati, come Calenda, o Renzi, o Tajani, fanno di tutto per evitare di farsi chiamare moderati, perché essere moderati ammoscia, essere un po’ incazzati, da moderati, funziona di più, almeno in tv. Ma il centrismo arriva anche laddove non ci si aspetta che arrivi.
E anche nella Lega, guidata dal non moderato Salvini, capita che alla fine la Lega che comanda in tv sia certamente quella non moderata, in attesa dell’opa di Vannacci, ma alla fine la Lega che comanda, nelle nomine, nella gestione del potere, è quella moderata, guidata da Giancarlo Giorgetti, spalleggiata dal sottosegretario Federico Freni, in odore di Consob, e supportata dal partito delle regioni guidate dalla Lega, vedi Fedriga, vedi Fontana, vedi Zaia, in attesa di conoscere il suo successore, ed è una Lega questa che inizia a comprendere che per avere un futuro deve guardare più al centro che all’estremo, e da qui la formidabile uscita di venerdì scorso del governatore lombardo: col cazzo che ci faremo vannaccizzare!
Le coalizioni di centrodestra e di centrosinistra sono cariche di populismo, in ogni dove, ma nell’attesa di capire se un giorno ci saranno davvero praterie al centro vale la pena di godersi lo spettacolo: il centro è morto, o comunque bene non sta, ma il centrismo non è mai stato così attivo, e le balene bianche che un tempo mangiavano tutto oggi si muovono in modo più discreto, entrando nei corpi delle coalizioni e cambiandole a poco a poco, trasformando anche le esagitate Giorgie in copie del Divo Giulio.