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l'autunno caldo

L'antidoto agli scioperi selvaggi di settembre c'è e si chiama referendum

Dario Di Vico

Nei prossimi trenta giorni sono 66 le agitazioni già programmate, di cui 14 nazionali. Una quantità di scioperi indetti che non è sostenibile per nessun paese a economia moderna. Ma una via d'uscita c'è

Si parla di uno scollamento tra sindacato e società tanto che nei sondaggi universali Cgil-Cisl-Uil risultano quasi sempre agli ultimi posti quanto a credibilità e rispetto. Ebbene i confederali hanno proprio in questi giorni l’occasione per riprendere popolarità e conquistarsi meriti in partibus infidelium. Lo possono fare proponendo di introdurre nel sistema dei trasporti il referendum confermativo e preventivo per la proclamazione degli scioperi. Proprio adesso perché nel solo mese di settembre, secondo i conti fatti dalle agenzie di stampa, sono ben 66 le agitazioni che risultano già programmate, di cui 14 nazionali. Lasciamo stare che settembre è mese di ripresa e in parte ancora di turismo e che ci sarebbe bisogno di poter contare su un servizio regolare e puntuale ma è evidente che la quantità di scioperi indetti non è sostenibile in nessun periodo dell’anno e per nessun paese a economia moderna.

 

Con le agitazioni si comincia oggi a Roma per il trasporto pubblico e su tutto il territorio nazionale per due giorni nel trasporto ferroviario. Una fermata che arriva immediatamente dopo che il traffico nord-sud dovrebbe tornare regolare dopo le interruzioni per i cantieri Fs d’estate. Si prosegue poi il 6 e il 26 con scioperi nel settore aereo e si ritorna al trasporto pubblico locale con giornate definite “a rischio” come quelle del 5, dell’8 e del 15. Morale nel mese di settembre: sarà un delirio spostarsi nelle città e da luogo a luogo.

 

A proclamare questi scioperi sono sigle minoritarie. Eccone un piccolo elenco: Sgb, Sul, Usb lavoro privato, Osr Sul, Assemblea nazionale Pdm/pdb, Osp Ugl, Fast-Confsal, Ors Faisa-Cisal, Osp Cobas, Adl Varese, Osr Orsa Autoferro, Osr Cub Trasporti. Sono loro i grandi protagonisti dei disagi di questo mese ai quali si aggiungono i confederali che però si sono limitati a indire scioperi contro singole società (come la Dussmann, la Wizz Air, l’Amag Mobilità di Alessandria o municipalizzate). Quello che avviene nei trasporti non ha paragoni pure in Italia con altri settori del servizio pubblico come la scuola e la sanità. Nel 2024 infatti le fermate degli autotrasporti organizzate da tutti i sindacati sono state quasi la metà del totale italiano. E sembra che non sia valso a niente che nel marzo 2025 sia stato rinnovato da Cgil-Cisl-Uil, dopo molto tempo, il contratto nazionale degli autoferrotranvieri con 500 euro di una tantum, 200 di aumento nella busta paga mensile e 40 euro più 20 a livello aziendale.

 

A far fronte agli scioperi c’è un’apposita autorità indipendente, la commissione di Garanzia istituita 35 anni fa, presieduta da Paola Bellocchi, che di fatto interviene sul distanziamento delle convocazioni di sciopero per ciascuna sigla e sulla tutela delle cosiddette fasce orarie. Ma è giudizio dei giuslavoristi che la commissione abbia le unghie spuntate, più di quello non potrà far mai. Quando il ministro Matteo Salvini ha provato a percorrere la strada della precettazione in un paio d’occasioni ha perso in tribunale e ha dovuto fare marcia indietro. Il risultato è che gli scioperi dei trasporti vengono considerati dai media una sorta di calamità naturale, si informano i lettori-utenti come li si mette a conoscenza che domani pioverà e non si riportano nemmeno i motivi dell’astensione, tanto si sa che non contano niente. Anche la politica alla fin fine la pensa allo stesso modo: per l’opposizione il caos dei trasporti è meglio imputarlo al peso massimo Salvini che a sindacatini che nessuno conosce e senza volto, quanto ai partiti di governo che pure dovrebbero essere favorevoli a un’ordinata vita del paese finora hanno fatto orecchie da mercante.

 

L’unica strada da percorrere allora è quella del referendum che responsabilizzerebbe i lavoratori, obbligherebbe le mini-sigle sindacali a cercare di conquistare la maggioranza ed eviterebbe gli scioperi di default come quelli del venerdì. Se ne potrebbe discutere al Cnel, qualche partito potrebbe farsi avanti sfidando i Cub ma soprattutto il sindacato dovrebbe intestarsi questa piccola riforma del consenso. Non c’è bisogno nemmeno di approvare una legge, basterebbe un accordo tra i confederali e le associazioni datoriali vidimato dalla commissione di Garanzia. E appoggiato politicamente dal governo.

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