(Ansa)

il pedro di elly

Sanchez attacca i giudici politicizzati e ci ricorda che il santino appeso da Schlein in salotto esiste solo in Italia

Salvatore Merlo

La segretaria del Pd lo spaccia come un modello. Ma il premier spagnolo è un equilibrista pragmatico: fa condoni, distribuisce miliardi, difende i separatisti, fa di tutto per restare al potere. Tutto il contrario di come viene percepito nella sinistra italiana

Esiste Pedro Sánchez, quello vero. E poi c’è il Pedro di Elly Schlein. Quello che verrà tirato fuori già oggi, o domani, o comunque sul palco di una delle tante feste dell’Unità che la segretaria del Pd si appresta ad aprire. Il primo Sánchez, in carne e ossa, governa la Spagna facendo i conti con giudici che indagano per corruzione la moglie e il fratello, e ai quali ieri ha risposto come faceva un tempo Silvio Berlusconi: “Ci sono magistrati che fanno politica”. Il secondo Sánchez, invece, è un ologramma tutto italiano, un’invenzione da conferenza stampa, da palco delle salamelle. Il leader che non sbaglia mai, progressista senza compromessi, pacifista e a favore dei diritti, simbolo di una sinistra che in Italia sembra riuscire a immaginarsi vincente soltanto se impersonata da qualcun altro. Qualcuno che governa all’estero. 

 

E’ una questione sulla quale si dovrebbe riflettere seriamente. A sinistra. Perché il Sánchez reale è un sopravvissuto. Sta alla Moncloa, il palazzo del primo ministro, non perché abbia convinto il popolo con un’idea limpida, ma perché ha barattato la permanenza al potere con l’amnistia ai separatisti catalani. Che sono dei golpisti per il Re Filippo e per gli organi giudiziari spagnoli. Sánchez ha spalancato le porte della riabilitazione pure a Carles Puigdemont, che da Bruxelles continua a dettare la linea del governo come un latitante di lusso. E Puigdemont è uno che, a confronto, Mario Borghezio sembra un prefetto sabaudo. Ecco. Per Schlein, però, il Sánchez che governa grazie ai voti indipendentisti non esiste. Come non esiste quello che per difendere famigliari e colleghi di partito forse corrotti sta provocando la rivolta dei giudici in Spagna. Esiste invece un Sánchez che dialoga, che ricompone, che tende la mano ai conflitti identitari e li trasforma in convivenza democratica. “Il modello del Pd è quello spagnolo”. Questa è la frase. Su tutto. Dall’energia ai rapporti con la Nato. Un santo laico del progressismo. 

 

Ma Pedro Sánchez, basta guardarlo, non è il santino progressista che la segretaria del Pd in questi mesi ha appeso in salotto. Sánchez è  un politico spagnolo, quindi mediterraneo, quindi pratico. E’ un equilibrista pragmatico. E navigatissimo. Fa i condoni quando servono, distribuisce miliardi per comprarsi la benevolenza degli elettori, difende i separatisti che possono garantirgli la maggioranza, fa di tutto per restare al potere. Attacca pure i pubblici ministeri. Tattico e controverso, in certi casi promette pure politiche economiche che Schlein in Italia definirebbe senz’altro di destra. Come quando dice di voler tagliare il costo del lavoro. Sánchez è uno che addirittura parla di “produttività” e di “sviluppo”, parole assenti nel nuovo vocabolario del Pd.  Sicché alla fine il problema, come ben si capisce,  non è certo Sánchez, che fa il suo mestiere e con abilità. Il problema è la sua versione italiana. Il problema è il Pedro di Elly. Quello che s’è inventato lei. Un personaggio levigato, senza contraddizioni, utile come specchio consolatorio per una sinistra che non trova il coraggio di guardarsi dentro. In Spagna governa l’arte del compromesso, in Italia si vende un tarocco. A Madrid un premier socialista governa come un equilibrista. A Roma, la sua immagine sopravvive come un peluche ideologico. Il Sánchez vero è complicato. Il Sánchez di Elly, invece, è comodo. E soprattutto non esiste.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.