Francois Bayrou (LaPresse)

L'editoriale del direttore

Abbassare le tasse e proteggere Milano. Il caso Bayrou ci ricorda i punti di forza dell'Italia

Claudio Cerasa

Il modello di concorrenza fiscale di cui parla il premier francese, e che l’Italia di Renzi all’epoca copiò proprio dal suo paese, non solo non è uno scandalo ma è la spia di una virtù che semplicemente andrebbe replicata, e non limitata ai circa quattromila paperoni che hanno usufruito del regime agevolato

L’allegra polemica di fine estate tra la Francia e l’Italia sul complicato tema del dumping fiscale rappresenta una buona istantanea per provare a immortalare un dettaglio del nostro paese che fuori dai confini italiani viene spesso inquadrato meglio di come non venga fatto all’interno dei nostri confini. Il dumping fiscale non è altro che la pratica con cui uno stato applica tasse molto più basse rispetto ad altri paesi per attirare imprese, investimenti o persone facoltose. Il premier uscente François Bayrou ha sostenuto con numeri sballati che l’Italia in questi anni abbia giocato una partita molto sleale attirando ricconi e capitali stranieri con regimi agevolati.

 

La norma a cui fa riferimento il primo ministro francese è quella, creata dal governo Renzi, ampliata dal governo Conte, rivista al ribasso dal governo Meloni, che prevede che venga pagata una tassa forfettaria sui redditi di fonte estera pari a 200 mila euro, senza che questo abbia un effetto sulle imposte pagate in Italia dagli eventuali beneficiari della norma. Il governo italiano, stizzito, ha risposto che non vi è alcuna concorrenza sleale, che quelle norme che nel passato hanno strizzato l’occhio ai ricconi sono state ridimensionate, e ha sostenuto che se c’è qualcuno che si comporta in modo sleale in economia, in Europa, quel qualcuno non va ricercato in Italia, con il sottinteso che i veri sleali in Europa, che si portano via come se fossero noccioline le aziende italiane, vanno cercati in Francia. L’accusa di Bayrou è diventata l’occasione per una classica baruffa con il pilota automatico tra Italia e Francia ed è un peccato che in pochi si siano soffermati su quella che invece poteva essere la vera ciccia della discussione. Intorno all’accusa di Bayrou non solo c’è del vero ma vi è anche un atto di accusa esplicito, e salutare, rivolto a chi non capisce quali strumenti ha un paese come l’Italia per scommettere su due parole spesso usate a casaccio: competitività e attrattività.

 

Il modello di concorrenza fiscale di cui parla Bayrou, e che l’Italia di Renzi all’epoca copiò proprio dalla Francia, non solo non è uno scandalo ma è la spia di una virtù che semplicemente andrebbe replicata, e non limitata ai circa quattromila paperoni che hanno usufruito del regime agevolato. L’Italia, come suggerisce Bayrou, dovrebbe accorgersi di essere ancora più competitiva quando abbassa le tasse, cosa che la politica spesso sceglie di non fare perché troppo impegnata a spendere soldi in marchette elettorali, e il punto di forza segnalato dal primo ministro francese dovrebbe aiutarci a ricordare che la strada giusta per attrarre dall’estero capitali oltre che capitalisti dovrebbe essere quella di ridurre le tasse anche sulle persone fisiche (Irpef) e anche sugli investimenti produttivi (Ires).

 

Il secondo elemento riguarda un fatto difficilmente contestabile: la città più attrattiva d’Italia, per i paperoni, è la città che il circo mediatico-giudiziario sta cercando di sventrare, ovvero Milano, e si stima che circa un paperone su tre, quando decide di trasferirsi in Italia, scelga Milano come sua città. E non a caso, prima di Bayrou, un altro politico, più estremista, ha scelto di trasformare Milano nel simbolo di un male da combattere. Quel politico si chiama Nigel Farage, e da mesi propone una Britannia Card per “riprenderci tutti i milionari che Milano ci ha rubato”. Gli stati che trasformano la competizione fiscale in una virtù attraggono capitali. Gli stati che attraggono capitali creano ricchezza. Gli stati che creano ricchezza rafforzano le imprese. Gli stati che rafforzano le imprese trasformando l’efficienza della burocrazia in un modello e non in un reato creano più posti di lavoro, creano benessere, aiutano il proprio paese a crescere. Resta solo da chiedersi se di fronte alla polemica di Bayrou sia più interessante la lotta tra galli e romani o sia più utile ragionare su quali siano i punti di forza dell’Italia che fuori dai nostri confini vengono capiti meglio di come non venga fatto all’interno dei nostri.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.